Non è un paese per poveri - di Donata Ingrillì

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Pochi soldi per la lotta alla povertà. A spese, nelle intenzioni del governo, delle pensioni di reversibilità.

Il livello di soddisfazione dei bisogni di welfare dei cittadini, garantito dalle istituzioni pubbliche, è uno degli indicatori fondamentali per la valutazione del grado di sviluppo di un paese democratico. Il comitato nazionale Cnel-Istat 2011 ha articolato in dodici domìni la definizione di benessere: tra questi, ambiente, salute, benessere economico e soggettivo, lavoro, qualità dei servizi.

Secondo la commissione scientifica esaminatrice, analizzato un set di indicatori rappresentativi, nessun dominio trova, in Italia, risposte adeguate al target di welfare necessario. I dati Istat 2014 ci dicono infatti che in Italia un milione e 470mila famiglie (5,7% di quelle residenti) risulta essere in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102mila persone (6,8% della popolazione), il 9,7% tra le famiglie di operai.

L’incidenza della povertà relativa è pari al 23,9%. Mentre la spesa socio-assistenziale costituisce appena lo 0,4% del pil e si aggira intorno ai 98 euro annui pro capite, con il livello più alto nelle regioni del nordest, 146 euro annue, a fronte di soli 40 euro al sud.

In questa situazione il governo, al di là dei provvedimenti in materia di lavoro, vara un disegno di legge delega, definito subdolamente “reddito minimo per i poveri”, con il quale, secondo il ministro Poletti, si avvierebbe in Italia “un cambiamento radicale” nelle politiche di welfare, una riforma che istituirebbe “un sistema universalistico” mai realizzato prima a sostegno delle persone in condizione di povertà, “una riforma che vale almeno quanto il jobs act”! Brivido.

Ovviamente niente a che vedere con il reddito minimo, né riguardo all’organicità normativa, né alla complessità degli interventi previsti, né all’esigua copertura del fondo previsto nella legge di stabilità 2016. Mentre servirebbero almeno 7 miliardi, il fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale prevede 600 milioni di euro per il 2016, e un miliardo per il 2017. Sarà suddiviso tra Carta acquisti, Sia (sostegno per l’inclusione attiva) e Asdi, e dovrebbe riguardare nuclei con almeno un figlio minore e un reddito Isee non superiore a 3mila euro, circa un milione di persone in povertà assoluta, contro i quattro milioni di poveri assoluti esistenti.

Il sistema di welfare con la legge 328/2000 aveva vissuto una riforma straordinaria, sia per la filosofia dell’impianto di prestazioni e servizi sociali e socioassistenziali, a rete orizzontale e verticale, che dell’idea del sociale come investimento. Rilanciava il tema dei livelli essenziali di assistenza, e includeva percorsi sperimentali di accesso al lavoro. Quella legge, ancora in vigore, è stata via via definanziata e depotenziata dallo Stato. Infatti, il Fondo nazionale per le politiche sociali è passato da un miliardo e 884 milioni del 2004 a 313 milioni circa del 2015. Quasi due miliardi nel 2004 per servizi e prestazioni sociali, un miliardo nel 2017 destinazione povertà. Il gioco dei numeri: circa un miliardo di euro per un milione di poveri assoluti. Soldi legati a un patto di servizio per una collocazione lavorativa.

Li prenderanno dalle reversibilità? Questo è l’altro grande tema. Le pensioni di reversibilità sono l’equivalente di anni di contributi versati da chi lavora, non goduti per l’intervenuto decesso dell’avente diritto e pertanto riconosciuti al coniuge superstite e ai figli, a determinate condizioni e nella misura del 60%. Nella legge delega sulla povertà, confermando un comma della legge di stabilità, il governo introduce subdolamente la “razionalizzazione” della reversibilità e la trasformazione da prestazioni previdenziali in assistenziali, in tal modo condizionate all’Isee. Una derubricazione del diritto e la sua progressiva abolizione per utilizzare le risorse “così liberate” a copertura di altri interventi, come il Fondo povertà.

Insomma siamo di fronte a una vera e propria politica degli ossimori: meno povero, ma più povero. Ti do ma ti tolgo. Il gioco dei tre barattoli: uno solo è pieno dei “tuoi soldi”. Se non capisci il trucco e dunque non indovini, rischi di perdere tutto. Ma comunque non vinci niente. Denunciato l’inganno, Spi e Cgil aprono le ostilità e annunciano dure iniziative di lotta e contrasto. Il governo smentisce, ma non elimina il riferimento alle reversibilità dalla legge delega.

Siamo di fronte ad un atto gravissimo e populista, funzionale al mercato, utile solo a ricordarsi che esistono i poveri per rassicurare lo status dei ricchi, dentro la teoria paretiana secondo cui la disuguaglianza è necessaria e inevitabile. Questo non è un paese per poveri. 

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