La Francia, le lotte e noi - di Patrizio Tonon

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Le lotte in Francia contro la nuova legge sul lavoro non si fermano, e il 14 giugno, dopo otto giornate di lotta, si è tenuta una giornata di mobilitazione generale guidata dai sindacati, a partire dalla Cgt. Una mobilitazione straordinaria dei lavoratori pubblici e privati, accompagnata dal consenso di vasti strati della popolazione, ha occupato città, bloccato servizi pubblici, aereoporti, treni, raffinerie e centrali nucleari.

Il sindacato francese ha senz’altro un numero inferiore di iscritti del sindacato italiano (un terzo circa) ma ancora grandi capacità di costruire mobilitazioni e alleanze sociali incisive nei confronti del padronato e del governo. Dal punto di vista organizzativo, proprio la Cgt è il più grande sindacato e deve la sua forza e combattività al ruolo decisivo nelle trattative e, nella propria vita interna, dei delegati di posto di lavoro. La Cgt ha un livello organizzativo aziendale che corrisponde grosso modo, anche se con altri poteri, al Comitato degli iscritti che la Cgil, da anni, vorrebbe estendere in tutti i luoghi di lavoro.

C’è un forte ruolo confederale e di categoria, ma la radice e l’identità della Cgt, classista e di sinistra, restano fortemente collegate agli iscritti nei luoghi di lavoro: per questo nei momenti difficili questo sindacato, che per alcuni aspetti ricorda la Cgil degli anni ‘70 (il sindacato dei consigli) riesce a mobilitare e a trovare consensi alle proprie battaglie. Quando le vertenze si fanno pesanti, la militanza e la passione degli iscritti alla Cgt riescono a bloccare grandi aziende, con picchetti di massa e scioperi che vengono sostenuti dalla popolazione.

In materia di peggioramento delle condizioni di lavoro e della contrattazione, la situazione in Francia assomiglia molto a quanto è successo e succede qui da anni. Ciò permette di fare un ragionamento, pur senza paragoni, su lotte o mancate lotte, oppure sull’efficacia o meno del ruolo sindacale in una fase di indiscutibile regressione dei diritti sindacali e sociali in tutta Europa. Mi preme capire se il sindacato e la mia Cgil, e penso alle strutture intermedie, siano consapevoli di un arretramento generale del movimento operaio e delle sue conquiste storiche, contrattuali e legislative.

In Italia abbiamo il sindacato più forte d’Europa in termini di iscritti, e fino a qualche anno fa esisteva una legislazione del lavoro e una struttura contrattuale che dava garanzie e benessere ai lavoratori e alle loro famiglie. Credo alla storia, al percorso e alla pratica sindacale della Cgil con le sue grandi battaglie, comprese quelle di questi giorni per i referendum sui diritti e per una nuova legge sul lavoro. Ma evito di nascondermi la realtà e la verità: cosa frutta una forza sindacale come quella di Cgil Cisl e Uil, se riusciamo a malapena a ridurre i danni all’aggressione quotidiana ai diritti e alle conquiste?

Sulle pensioni abbiamo ormai le condizioni peggiori in Europa in materia di rendimenti, tassazione e salvaguardia del potere d’acquisto, per non parlare dell’età e degli anni di lavoro che servono per andarci. La contrattazione nazionale è praticamente inchiodata dalle organizzazioni imprenditoriali, che chiedono come contropartita lo smantellamento dello stesso contratto nazionale, per portare il confronto su salario e condizioni di lavoro a livello aziendale, o individuale, sapendo benissimo che gran parte della contrattazione di secondo livello è subordinata alla massima flessibilità e al peggioramento del contratto nazionale. Merce di scambio a perdere non ce n’è più, perchè oramai quello che si doveva dare si è dato.

Ancora: lo Statuto dei lavoratori è stato fortemente compromesso, al punto che è possibile licenziare senza motivo pagando una penale, mettendo in discussione la dignità del lavoratore e le stesse libertà sindacali. Sulle pensioni e sul modello contrattuale qualcosa si sta muovendo unitariamente nel sindacato: è importante, ma va a rilento, senza verifiche e prospettive. Basta la dichiarazione di un ministro o un articolo di giornale per impantanare qualsiasi prospettiva di mobilitazione.

L’unità è importante, ma il sindacato deve darsi una mossa altrimenti ne va della sua credibilità e della sua utilità. I servizi e l’assistenza ai lavoratori e ai pensionati vanno benissimo e sono utili, ma non bisogna mollare sul versante dell’attività sindacale e rivendicativa collettive, altrimenti ci limitiamo a curare le ferite e ad aiutare i cittadini nei meandri della burocrazia statale. Va rilanciata la militanza e la passione sindacale dei lavoratori e pensionati. Soprattutto serve un percorso di selezione e costruzione di un gruppo dirigente motivato, a partire dai territori: se un dirigente non è convinto, come può convincere i nostri iscritti, chiedere militanza, protagonismo e sacrificio?

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