La Cgil riparte dalle questioni sociali - di Giacinto Botti

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Depositate 3,3 milioni di firme sui 3 referendum a sostegno della Carta dei diritti.

Il voto del popolo britannico in favore di un’uscita da destra dall’Europa e quello del popolo italiano alle elezioni amministrative - che ha premiato una forza politica trasversale e antisistema, a scapito di una sinistra che ha perso identità e anima - hanno in comune la questione sociale, il peggioramento della condizione economica, sociale e lavorativa di ampi strati della popolazione.
Gli esiti di queste due consultazioni riguardano anche noi, ci coinvolgono e ci impegnano in una profonda riflessione su come affrontare la nuova fase che porta con sé una nuova stratificazione sociale, e una disgregazione che, se non governata dalla politica e con politiche alternative a livello nazionale ed europeo, sarà irreversibile. La nostra stessa democrazia potrebbe essere travolta.

Dobbiamo fare i conti con una situazione sociale e politica profondamente mutata, senza rimuovere le difficoltà di una Cgil a volte ripiegata su se stessa, non sempre coesa sulle priorità e gli obiettivi decisi da tutti negli organismi decisionali, che sconta l’isolamento politico e l’avversità del governo. In un contesto sociale difficile, e con rapporti di forza che sono determinanti nello scontro tra capitale e lavoro, che, nella crisi di sistema e nella globalizzazione, comunque si ripropone e sta avvenendo a tutti i livelli.

L’Europa neoliberista, che vuole modellare l’organizzazione socio-politica in favore degli interessi del capitale e del mercato, si sta sfarinando nello smottamento valoriale e culturale che interessa anche un pezzo della nostra rappresentanza. Sulla scena politica irrompe una protesta diffusa, la paura del futuro, fomentata e indirizzata verso l’immigrazione, ma proveniente dalle veloci e non governate trasformazioni socio-economiche che producono diseguaglianze e impoverimento, individualismi e consenso a forze reazionarie o antisistema. La disillusione si traduce nel fenomeno di un astensionismo allarmante che, insieme alla disoccupazione, riguarda soprattutto le giovani generazioni.

La Ue e il governo italiano devono rivedere le loro politiche, riconoscere il fallimento della teoria secondo la quale austerità e riduzione dei diritti determinano crescita e sviluppo. Contemporaneamente la Ces deve far vivere l’utilità della sua funzione di contrasto alle politiche neoliberiste, ricostruendo le basi della propria iniziativa per l’Europa sociale, il lavoro e i diritti.
Abbiamo bisogno di Europa, non di questa Europa, destinata a disgregarsi se non cambierà in profondità i trattati e le sue politiche. Senza un’Europa sociale si propagheranno pericolosi nazionalismi e la morte di qualsiasi cultura solidale, di unità di classe e della nostra stessa storia di sindacato generale internazionalista. Ecco perché la crisi non è questione economica ma politica.
Giustamente la Cgil rifugge dalle semplificazioni, e riconosce la portata storica della fase e delle conseguenze della crisi di sistema. Con l’affermazione della sua autonomia di soggetto generale di rappresentanza, ha deciso di riaffermare la sua confederalità con una visione generale, per sfuggire ai localismi e ai corporativismi che attraversano la società e la politica. E anche la nostra organizzazione.
Abbiamo deciso di aggregare, riunificare e rappresentare il mondo del lavoro di oggi, e di uscire dalla difensiva con la Carta dei diritti e i tre referendum di sostegno. L’impressione però è che non tutta l’organizzazione abbia percepito la situazione politico-sociale e la qualità e la prospettiva di questa scelta di ordine strategico. E’ stata una campagna dall’esito positivo, con il risultato di milioni di firme raccolte, e che ora deve continuare a sostegno della Carta.

Un risultato conquistato con centinaia di banchetti, con l’impegno e la passione di dirigenti e di delegati. Da rivendicare e valorizzare, senza rimuovere i ritardi, le difficoltà, le incongruenze di una campagna politica che offriva una prospettiva e un progetto alternativo, con al centro il lavoro e i diritti per tutti, ma che forse avrebbe dovuto e potuto svilupparsi maggiormente nei luoghi di lavoro. Anche di questo dovremo discutere al nostro interno.

E’ stata una campagna che ci ha fatto bene: le assemblee prima e la raccolta di firme poi ci hanno permesso di riallacciare un filo diretto con i lavoratori e ricostruire una credibilità e un consenso che guai a noi se andranno delusi. La Cgil, mantenendo il suo profilo autonomo, dovrà dare seguito agli impegni assunti con le lavoratrici e i lavoratori nelle assemblee nei luoghi di lavoro, e con i tanti cittadini che ci hanno sostenuto firmando ai nostri banchetti.

Ora la Carta dei diritti e i referendum non vanno archiviati, ma fatti vivere con coerenza nelle nostre scelte, nelle nostre mobilitazioni, ai tavoli di trattativa con il governo sulla previdenza, e ai tavoli con le associazioni d’impresa per la conquista dei contratti nazionali.
E’ significativo e importante l’impegno assunto dalla Confederazione e unitariamente con l’Assemblea nazionale del 12 luglio delle delegate e dei delegati, a sostegno dei settori in lotta per la conquista dei loro contratti. E’ uno scontro di ordine generale con Confindustria e con lo stesso governo sul valore e la funzione generale del Ccnl. E su otto milioni di lavoratori senza contratto, circa quattro appartengono al pubblico impiego: un contratto scaduto da otto anni con un datore di lavoro che si chiama governo.

Altrettanta importanza, rispetto agli altri tavoli aperti, ha il tavolo di trattativa con l’esecutivo sulla previdenza, che è stato conquistato con le nostre mobilitazioni. Ogni spazio di trattativa va praticato per portare a casa almeno alcuni pezzi delle richieste della nostra piattaforma, rigettando però con determinazione proposte inaccettabili come quella dell’Ape. Perché non possiamo sfuggire dai risultati, che saranno misurati dalle lavoratrici e dai lavoratori, e dai pensionati, sulla base della qualità e della coerenza rispetto alle nostre piattaforme.
L’impressione è di un governo che ha aperto i tavoli senza proposte credibili, per opportunismo e per le evidenti difficolta che si sono manifestate con il voto delle amministrative, ma con scarsa propensione a riconoscere il ruolo di rappresentanza generale dei sindacati e a giungere ad accordi di qualità. Per questo è importante mantenere i tavoli e contemporaneamente costruire, a partire dall’assemblea del 12 luglio, percorsi per la possibile mobilitazione generale e unitaria.

L’unità sindacale, oggi più che mai, è un bene da preservare per contare ai tavoli e nella costruzione delle mobilitazioni e degli scioperi, ma senza pagare un prezzo troppo alto e senza sacrificare la nostra identità, la nostra tenuta, perché getteremmo alle ortiche la faticosa credibilità riconquistata con i nostri iscritti, i lavoratori e i pensionati.

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