Contratto nazionale a garanzia di tutti - di Fiom Cgil

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Dalla Flm alle sconfitte in Fiat: sempre in lotta per l’unità e i diritti dei lavoratori.

Il periodo delle lotte operaie non si esaurisce: nel 1972 Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil si uniscono nella Federazione lavoratori metalmeccanici (Flm). Nel 1973 viene firmato un altro importante contratto nazionale in cui si ottengono l’inquadramento unico operai-impiegati su sette livelli, aumenti salariali uguali per tutti, il diritto allo studio retribuito (le 150 ore), quattro settimane di ferie.

Nei rinnovi successivi prende forma la prima parte del Contratto, relativa ai diritti di informazione sui programmi di investimento e sulle politiche occupazionali delle imprese. Lo spazio negoziale diviene più ampio e aumentano le materie contrattuali, così come l’incidenza del sindacato in fabbrica.

Dalla seconda metà degli anni settanta si sviluppa una nuova offensiva padronale, tendente a ripristinare condizioni di primato assoluto nelle imprese. Ancora una volta banco di prova è la Fiat, che nel 1980 annuncia 14.469 licenziamenti, incontrando una dura opposizione operaia che si concretizza in 35 giorni di lotta. Per la prima volta in Italia, gli impiegati e i capi di una fabbrica si organizzano contro gli operai e tengono una manifestazione a Torino di 20mila persone. La sconfitta operaia (23mila lavoratori in cassa integrazione) oltrepassa i confini della Fiat, e apre una fase incerta e difensiva del sindacato, ancora oggi motivo di dibattito e di riflessione.

Gli imprenditori, utilizzando le grandi ristrutturazioni e una fase politica e sociale favorevole, attaccano le conquiste degli anni settanta. Nel 1984 la Flm si scioglie. Nello stesso anno il governo Craxi attacca la contingenza, meccanismo che adegua automaticamente i salari agli aumenti del costo della vita, che verrà poi abolita nel 1992. In quegli anni i Consigli di fabbrica entrano in crisi come struttura di rappresentanza.
La crisi e le ristrutturazioni degli anni ottanta hanno modificato la struttura industriale italiana. Crescono le piccole e medie imprese e l’artigianato. Aumentano gli infortuni sul lavoro. Intere aree industriali delle grandi città scompaiono, e questo provoca una lenta ma inesorabile diminuzione degli iscritti al sindacato. Nel 1993 viene firmato dai sindacati, dagli imprenditori e dal governo un accordo in cui vengono definiti nuovi assetti contrattuali che individuano soluzioni per la dinamica degli incrementi salariali, e vengono ribaditi i due livelli di contrattazione: nazionale e aziendale. Nell’accordo trova conferma la legittimazione a negoziare, a livello aziendale, della Rsu, che sostituisce il Consiglio di fabbrica. Ma gli imprenditori sono intenzionati a ottenere l’eliminazione del contratto nazionale, e un rapporto di lavoro basato su relazioni individuali a totale discrezione delle imprese.

Nelle trattative contrattuali successive, dal 1994 a oggi, la battaglia continua a essere principalmente quella per il mantenimento dei due livelli contrattuali, in una situazione generale segnata da una crescente precarietà dell’occupazione, dall’aziendalizzazione delle relazioni industriali – il caso più eclatante è l’uscita della Fiat da Confindustria, con la disdetta del contratto nazionale dei metalmeccanici – e dalla crisi dell’unità sindacale.
Oggi, in un contesto sociale ed economico pesantemente caratterizzato da crisi finanziarie e industriali, le principali preoccupazioni della Fiom riguardano la tenuta del sistema industriale e occupazionale del paese, proponendosi di porre un argine all’insicurezza del lavoro e alla precarietà del mondo giovanile, impegnandosi per un nuovo modello di sviluppo sostenibile che coniughi lavoro, salute e ambiente, in un’Europa senza più barriere, e rimettendo al centro il miglioramento delle condizioni di vita delle lavoratrici e dei lavoratori, ricostruendo l’unità del mondo del lavoro e del sindacato, a partire dalle tutele e dai diritti uguali per tutti garantiti dal contratto nazionale.

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