Burkini: la propaganda impazzita attacca le libertà fondamentali - di Selly Kane

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Insieme alla guerra in Siria, in Iraq, nel Kurdistan, in Libia, e agli atti di terrorismo che dilagano in tanti stati africani e del Medio Oriente con crudeltà inaudita, in questa estate drammatica divampa la polemica contro l’utilizzo del burkini (un costume da bagno che copre interamente il corpo della donna, comprensivo di velo, un indumento concepito per non inzupparsi d’acqua e asciugarsi rapidamente). Il burkini in alternativa al bikini. Scontro sui grandi principi nelle relazioni uomo-donna, e scontro di civiltà e di religioni… su un capo di abbigliamento.

Una sentenza del Consiglio di Stato francese, chiamato in causa dalla Lega dei diritti dell’uomo e dal Collettivo contro l’islamofobia, ha dichiarato illegali le ordinanze dei comuni, a partire da Cannes e Nizza, che avevano vietato alle donne di indossare il burkini sulle spiagge e nelle piscine. A favore del divieto è intervenuto ripetutamente lo stesso primo ministro francese Manuel Valls, esaltando perfino l’immagine di Marianna a petto nudo quale simbolo della “Liberté”, fomentando così una battaglia tutta ideologica a difesa dei valori laici della Francia repubblicana contro “l’asservimento della donna”, considerando il burkini uno dei simboli della legge islamica della sharia che sottomette le donne alla volontà degli uomini.

In Italia il leghista Calderoli annuncia una proposta di legge per misure di repressione contro il fondamentalismo islamico collegato al terrorismo internazionale, e tra queste il divieto di indossare il burkini su spiagge e piscine italiane.

E’ evidente come le polemiche siano accentuate da una cultura di destra che, opponendosi all’accoglienza dei rifugiati di guerra, richiedenti asilo e immigrati, e accentuando i pericoli della mancata integrazione delle nuove generazioni, per lo più di origine magrebina, nel nome della difesa strenua di un’identità di valori cristiani e occidentali, cerca di montare nella popolazione la paura verso il mondo arabo musulmano, considerato “in toto” responsabile degli attentati terroristici, e di una vera e propria invasione dell’Europa.

Polemiche e misure futili come queste sembrano in verità voler accentuare anziché ridurre i pericoli dello scontro militare con l’Isis, chiamando in causa in maniera del tutto strumentale fattori ideologici e simboli etici, di diversità di costumi e di religione. Se ci si vuole veramente contrapporre al pericolo del fondamentalismo musulmano e del terrorismo dell’Isis, come mai stampa, governi e istituzioni non prendono di mira fatti di politica estera e di commercio internazionale ben più gravi e compromettenti che collegano paesi arabi “amici” con le strategie militari dell’Isis? Perché non si ritiene “incompatibile con i valori della Francia” stringere affari con gli amici leader sauditi, sostenitori aperti del wahabismo?

La Francia - ma anche l’Italia è all’avanguardia - nel 2015 ha firmato contratti per oltre 11 miliardi di euro con l’Arabia Saudita, e nel 2014 le ha venduto armi per quasi 4 miliardi. Una riprova del carattere contraddittorio e ipocrita delle relazioni internazionali viene dai media sauditi che, a differenza di quelli francesi e occidentali, hanno dato molto risalto alla “discreta” cerimonia con cui il presidente Hollande ha conferito la Legion d’Onore al principe ereditario e ministro dell’interno saudita, Mohammed bin Nayef.

Già nella guerra nella ex Jugoslavia, e in particolare in Bosnia (dove per oltre 50 anni la federazione tra Repubbliche socialiste di Tito era riuscita a garantire il dialogo e la convivenza tra civiltà e fedi religiose diverse: cattolica, ortodossa, musulmana, ebraica, atea), l’Europa e l’Occidente, vendendo armi, riconoscendo leader nazionalisti, e chiudendo gli occhi sulle azioni militari di pulizia etnica quali Srebrenica, hanno dimostrato di fomentare anziché diminuire lo scontro fra civiltà e religioni. Non si può continuare a ripetere simili tragedie! Non si può diventare fanatici per combattere il fanatismo!

Questa battaglia contro il burkini più che un esempio di difesa dei valori di laicità e di libertà delle donne - libertà per le quali le stesse donne musulmane sapranno combattere, come nel passato hanno fatto in Europa le donne cristiane e femministe liberandosi dalle miriadi di forme di subalternità, dalle cinture di castità ai roghi delle streghe, dalla privazione maschilista dei diritti all’istruzione, al voto, alla libertà di gestire il proprio corpo nonché il proprio abbigliamento - si rivela essere una grande campagna di distrazione di massa. Le vere questioni da risolvere e su cui dibattere sono infatti quelle volte a combattere il terrorismo e l’Isis non con le armi, né con il commercio, ma con la diplomazia internazionale e le più ampie alleanze.

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