Verso una vertenza generale sul welfare - di Cesare Caiazza

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Il 22 febbraio scorso si è svolto un incontro tra i segretari Cgil Cisl e Uil che hanno la delega sul welfare, unitamente ai componenti delle rispettive aree e dipartimenti. Si è trattato dell’avvio, proficuo ed importante, di un percorso finalizzato a definire una proposta per un welfare universale, inclusivo, solidale, moderno ed efficiente, da sostenere anche con azioni ed iniziative unitarie, volte a mettere al centro dell’agenda politica e dell’agire del governo i temi della sanità e delle politiche sociali.

Negli ultimi anni il welfare nel nostro paese ha subito un pesante arretramento, registrando una sostanziale menomazione di principi e valori fondamentali e costituzionali connessi all’universalità e all’equità dei diritti alla salute, alla cura, all’assistenza, all’inclusione sociale. Una condizione dettata, in una sorta di perverso “combinato disposto”, dagli effetti della crisi, con il suo portato di crescente e sempre più estesa difficoltà economica e sociale per le persone e le famiglie, e dalle politiche, imposte dall’Unione europea ed adottate dai governi nazionali, caratterizzate da progressivi tagli lineari su tutti i capitoli di spesa connessi al welfare e da minori trasferimenti verso gli enti locali.

L’impegno per un’Europa diversa da quella attuale, davvero dei popoli, non può prescindere dalla necessità di considerare il welfare non come un costo da comprimere in ragione dell’equilibrio dei bilanci e del risanamento dei debiti, bensì come uno straordinario volano di sviluppo economico e sociale. Diviene sempre più urgente contrapporre alla globalizzazione liberista un impegno per l’internazionalizzazione dei diritti dei lavoratori, dei pensionati e dei cittadini; diritti che non possono più essere adeguatamente difesi ed estesi nei confini di una sola nazione.

Nell’immaginare una strategia complessiva volta alla riaffermazione di un modello sociale di carattere solidale, inclusivo e moderno, è importante ripartire dalla dignità e dai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici che operano nelle attività del welfare, direttamente proporzionali alla qualità ed efficienza dei servizi. Occorre, infatti, ribaltare quella cultura liberista che negli ultimi trenta anni è stata foriera, anche attraverso pratiche di esternalizzazione e privatizzazione, di riduzione dell’occupazione, contrazione dei diritti del lavoro e peggioramento della qualità delle prestazioni. Occorre battersi per evitare ulteriori tagli e per pretendere maggiori risorse a garanzia di un welfare inteso come strumento di inclusione sociale basato sui servizi; per garantire livelli sanitari e sociali essenziali in tutto il paese; per sviluppare la sanità, la cura, l’assistenza e l’integrazione socio – sanitaria e assistenziale nei territori.

In questo contesto assume particolare rilevanza anche la contrattazione sociale, da sviluppare promuovendo una cultura capace di sostenere, alimentare e riorientare – nel merito e per il metodo - l’iniziativa volta alla definizione di piattaforme ed accordi territoriali. E’ necessario ed urgente recuperare e sviluppare quella vocazione e missione originali e peculiari delle nostre Camere del lavoro ad essere “unione del popolo lavoratore e dei pensionati volta all’interesse generale della comunità”, così come descritto da Giuseppe Di Vittorio.

In un discorso pronunciato nel 1951, Di Vittorio diceva: “Non esiste in alcun paese un tipo di organizzazione che possa definirsi almeno analogo a quello delle Camere del lavoro italiane. […]in pari tempo la somma di tutti i sindacati e di tutti i lavoratori in essi organizzati, l’espressione dell’insieme del popolo lavoratore, l’organizzazione che non si è interessata dei compiti puramente sindacali (l’orario di lavoro, i salari, l’organizzazione della solidarietà da un sindacato all’altro, di tutti i sindacati a un sindacato, ecc.), ma è stata anche qualche cosa di più, un’espressione più viva, più diretta dei bisogni generali del popolo; per cui molto spesso le nostre Camere del lavoro si sono occupate dei trasporti collettivi cittadini, degli ospedali, dei problemi degli affitti, delle imposte, delle condizioni di igiene in cui vivono i lavoratori in determinati quartieri, cioè di problemi sociali generali”.

Ripartire da questa cultura significa pure agire per l’affermazione di quella democrazia e di quella partecipazione che devono accompagnare tutti i processi connessi alla negoziazione sociale territoriale, e che occorre far vivere innanzitutto nell’ambito della definizione di piattaforme e proposte che siano il frutto del contributo di tutte le categorie degli attivi, dei pensionati, dei compagni e delle compagne dei servizi; in un rapporto e in un’azione condivisi e unitari con Cisl e Uil.

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