“Per una proposta di pace dell’Unione europea” - di Sergio Bassoli

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La guerra in Ucraina continua con il suo strascico di morti, di distruzioni, di nuove povertà e crisi di ogni tipo, in ogni angolo del mondo. Ormai tutta l’economia mondiale è in crisi per gli effetti nefasti del conflitto. Gli indicatori degli obiettivi dello sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite hanno iniziato ad invertire il trend, verso il basso. La Fao ci informa che solo per l’anno in corso avremo oltre 50 milioni di nuovi poveri e molte comunità africane non potranno seminare e raccogliere cereali, legumi, ortaggi, per mancanza di fertilizzanti e di sementi. Gli impegni e gli obiettivi fissati nella Cop di Parigi per la riduzione delle emissioni di Co2 e per il contenimento della temperatura non saranno rispettati, vista la necessità di riattivare le centrali di carbone per sostituire le mancate forniture di gas e petrolio dalla Russia.

Come una palla di neve scivoliamo da una crisi ad un’altra, sempre più grande, sempre più complessa. Come ci ricorda il Segretario delle Nazioni Unite, Guterres, abbiamo superato il “rischio zero” di una guerra nucleare, e la cosa è drammaticamente eccezionale.

Di fronte a questa realtà e a questi scenari, la politica, gli Stati e i mezzi d’informazione europei non sembrano vedere il pericolo, non sembrano percepire le preoccupazioni delle cittadine e dei cittadini che trovano nella sola voce del Papa il grido d’allarme e un accorato richiamo alle responsabilità dei potenti della terra per fermare subito questa guerra, prima che sia troppo tardi.

Troppo poco per fermare la corsa al riarmo, nonostante la maggioranza della popolazione italiana ed europea non sia d’accordo con l’aumento della spesa militare e non approvi l’invio delle armi in Ucraina. Vuole la pace con il negoziato, con il dialogo. Trattare, trattare, trattare.

Ma Stati membri e Commissione europea non ci sentono, spinti da una campagna mediatica tutta schierata per la sfida alla Russia di Putin, a sostegno della escalation militare, forte dell’ombrello Nato. Così si prosegue con la marcia trionfale delle armi, del riarmo. La sfida sarà sul campo di battaglia e non nelle sedi diplomatiche. Perché, va detto, un vero negoziato - nonostante i viaggi solo annunciati e quelli realizzati dei vari leader europei a Kiev e le telefonate a Putin - non ci può essere, se si è schierati con la guerra.

Ragion per cui non ci possiamo stupire se la società civile, dentro e fuori il campo del pacifismo e della nonviolenza, si mobilita e produce in modo sempre più intenso e diffuso iniziative e appelli rivolti alle istituzioni nazionali ed europee, per chiedere di fermare questa assurda guerra e di pensare cosa saremo il giorno dopo, in quale società ci troveremo a vivere, quale Europa avremo.

L’iniziativa presentata il 20 giugno scorso, nella sede dell’Unione europea di Roma, (vedi https://www.anpi.it/articoli/2699/per-una-proposta-di-pace-dellunione-europea) rappresenta l’“idem sentire” di questo stato d’animo diffuso, ma silenziato, di una grande parte della popolazione italiana che non trova spazio sui giornali e nelle televisioni e che non trova sponde politiche, se non singole voci anch’esse isolate, se non derise. Culture laiche e cattoliche che si incontrano per manifestare il proprio appoggio e solidarietà (concreta) con la popolazione ucraina vittima della guerra, ma anche con tutte le vittime delle guerre. Culture e sensibilità che vivono un forte e crescente disagio e preoccupazione per non vedere l’Italia e l’Europa impegnate nella promozione di “una concreta iniziativa di pace”, perché “saranno i paesi dell’Ue a sopportarne maggiormente le conseguenze sociali, economiche, energetiche e militari”.

Soprattutto, se l’Unione europea non sceglie con chiarezza e con coerenza la strada della pace, non potrà certo essere un attore terzo, un mediatore e un costruttore di pace. Eppure gli strumenti e le esperienze le abbiamo. Lo stesso presidente Mattarella ha ricordato in più occasioni come sia fondamentale riprendere lo spirito e l’iniziativa della Conferenza di Helsinki (1975) per costruire un nuovo sistema di cooperazione e di sicurezza per tutta l’Europa. Come pure hanno fatto il Centro svedese Olof Palme, la Confederazione Sindacale Internazionale e l’International Peace Bureau, riprendendo e rielaborando il lavoro della Commissione Palme che, quarant’anni fa, definì in modo chiaro e dettagliato il significato e come costruire un sistema di sicurezza condivisa, per tutti, e non solo per alcuni Stati.

Una proposta che interroga gli stati membri delle Nazioni Unite a riprendere in mano le ragioni e le finalità del sistema Onu, attuando le riforme necessarie affinché sia quello il sistema riconosciuto da tutte le nazioni, senza eccezione alcuna, titolato a prevenire e a risolvere per la via del diritto internazionale i conflitti tra Stati e il rispetto dei diritti umani e delle libertà, senza più “poliziotti fai da te” in giro per il mondo. La strada per la pace c’è, basta volerla vedere e praticare.

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