Legge Fornero: la Consulta non va in pensione - di Beniamino Lami

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

La sentenza della Corte è sacrosanta e ripristina un principio costituzionale. Sono privi di fondamento i commenti di tutti i soloni che danno per finanziariamente insostenibile il sistema previdenziale italiano

Pubblicato su Sinistra Sindacale 03 del 8 giugno 2015

 

La sentenza della Corte Costituzionale sulla rivalutazione delle pensioni ristabilisce un diritto che la legge Monti-Fornero aveva violato. E’ quindi una sentenza sacrosanta che ripristina un principio costituzionale.
Non interessa, in questa sede, fare un ragionamento di carattere tecnico. Interessa, invece, il risvolto politico, perché è chiaro, e i numeri parlano da soli, che dei 16 miliardi che dovrebbero tornare ai pensionati, il governo, almeno fino ad ora, restituisce solo 2 miliardi. E fa questa operazione in modo da mettere in difficoltà in particolare le organizzazioni sindacali dei pensionati, e aprendo nuovamente un conflitto tra generazioni. Si toglie a chi ha di meno per dare a chi ha di più.

Stiamo pagando a caro prezzo il fatto di aver lasciato passare la riforma Fornero con sole due ore di sciopero e senza nessuna vera mobilitazione credibile, non solo da parte della confederazione ma anche da parte di tutte le categorie. Anche il fatto di aver costruito unitariamente una piattaforma su fisco e previdenza, e poi averla messa nei cassetti senza averle dato un seguito in termini di mobilitazione e di contrattazione con il governo, aggiunge un ulteriore elemento di debolezza e di scarsa credibilità delle organizzazioni sindacali.

La sentenza della Corte ha anche riaperto un dibattito sulla sostenibilità del sistema previdenziale italiano e sui suoi costi, e sempre all’interno di questo viene alimentato il conflitto tra le generazioni. Non c’è trasmissione in televisione in cui qualche solone non ci racconti che la spesa previdenziale in Italia è la più alta d’Europa; che il nostro sistema pesa troppo sul bilancio pubblico, e che le casse dell’Inps sono in forte sofferenza ed è a rischio la tenuta dell’intero sistema.

Sono affermazioni prive di fondamento, ma che possono avere un grande effetto su chi non possiede gli strumenti conoscitivi per metterle in discussione. Tutto questo sembra avere come fine il ricalcolo delle pensioni erogate con il sistema retributivo, che sembrano essere la causa delle diseguaglianze e delle difficoltà dell’Inps. A questo proposito è sufficiente ricordare che, con l’introduzione del calcolo contributivo, il sistema è per definizione in equilibrio. Se una sofferenza esiste per le giovani generazioni, questa è determinata dalla discontinuità o dall’assenza di lavoro e dalle basse retribuzioni.
Non ci dobbiamo dimenticare inoltre che, come ci ricorda il professor Pizzuti, il sistema previdenziale pubblico presenta un saldo in attivo dal 1988 fra le entrate contributive e le prestazioni previdenziali nette. Un saldo che, nel 2013, è stato di circa 21 miliardi di euro, pari cioè a dieci volte quello che il governo intende restituire per il mancato adeguamento all’inflazione.

Accanto a questo è bene non dimenticare, inoltre, che sulle casse dell’Inps gravano anche le spese di carattere assistenziale, e che l’evasione contributiva dello Stato ha provocato un buco enorme nella cassa previdenziale ex Inpdap, che rischia di essere pagato dalle altre casse dell’Inps. Infine è bene non dimenticare che, in Italia, sulle pensioni è applicata una tassazione con le normali aliquote, mentre in altri paesi europei viene applicata una tassazione agevolata. l

©2024 Sinistra Sindacale Cgil. Tutti i diritti riservati. Realizzazione: mirko bozzato

Search