Idiversi governi che si sono succeduti dal 1995 ad oggi hanno perseverato nell’opera di smantellamento del sistema pensionistico. Con la riforma Dini si è introdotto il sistema di calcolo contributivo, mandando in soffitta quello retributivo basato sugli ultimi cinque anni di retribuzione. Con la controriforma Fornero del 2011 si è obbedito agli ordini della troika che, in una lettera a firma di Trichet e Draghi, chiedeva esplicitamente di abolire le pensioni di anzianità, allungare l’età pensionabile, eliminare l’indicizzazione delle pensioni. La debole opposizione sindacale nel 2011, pur in considerazione della fase sociale convulsa, di grave crisi politica, culturale ed occupazionale e di duro attacco ai corpi intermedi, resta per la Cgil un motivo di forte autocritica e rammarico.

Come se non bastasse si è continuato a picconare sulla previdenza abolendo di fatto le pensioni di anzianità, e creando l’obbrobrio giuridico degli esodati: una nuova categoria di cittadini invisibili e senza diritti, ormai alla cosiddetta “settima salvaguardia” nella legge di stabilità 2016, ed agganciando il diritto alla pensione di vecchiaia alla “aspettativa di vita”. Una continua corsa ad ostacoli verso una pensione che si allontana ogni qual volta si pensa di averla raggiunta. E che rappresenta un miraggio raggiungibile, ed economicamente decoroso, per chi rientra nel retributivo ed è vicino al requisito di anzianità; irraggiungibile, e a rischio povertà, per chi si trova nel misto, nel contributivo, e soprattutto per chi ha un lavoro discontinuo e precario, se non è addirittura disoccupato.

In economia politica si chiama “liberismo” oggi “neo-liberismo”, quella teoria che progetta uno Stato minimo che disinveste nei “beni meritori” - sanità, istruzione, previdenza - per occuparsi solo di giustizia, ordine pubblico e difesa.

Che la spesa pensionistica in Italia sia una delle cause della crescita del debito pubblico è una menzogna. Si dice che le pensioni costano allo Stato 90 miliardi di euro l’anno, trasferiti all’Inps. In realtà l’86% di questa cifra riguarda le prestazioni temporanee e l’assistenza al reddito; il rimanente 14% è relativo alle invalidità civili. Le spese per le pensioni ordinarie, in un sistema a ripartizione come il nostro, sono finanziate per il 90% dai contributi dei lavoratori e delle imprese. Inoltre la mancata distinzione nel bilancio Inps fra spese per previdenza e spese per assistenza comporta un calcolo errato sulla quota impegnata per la sola previdenza, in quanto comprensiva delle prestazioni temporanee e assistenziali.

Da anni la Cgil chiede di separare contabilmente assistenza e previdenza. Così facendo, la spesa pensionistica italiana risulterebbe pari a quella dei maggiori paesi europei. Infine i conti Inps riguardanti le pensioni ordinarie dei lavoratori dipendenti risultano in attivo, anche grazie ai contributi degli immigrati, mentre i pensionati italiani pagando l’Irpef a differenza degli altri paesi europei, come ci ricorda Luciano Gallino, “versano allo Stato 46-48 miliardi”, tanto da rappresentare “addirittura (…) un sostegno dei pensionati di circa 20-25 miliardi a favore dello Stato”.

A fronte di questa situazione, la Cgil ha ritenuto prioritario mettere al centro delle proprie rivendicazioni la previdenza pubblica, rilanciando una piattaforma unitaria con Cisl e Uil, oggetto di una campagna capillare nel paese, partita ufficialmente il 17 dicembre con tre iniziative contestuali nel nord, centro e sud d’Italia.

Ecco i suoi punti salienti: modifiche strutturali alla legge Fornero per un reddito da pensione adeguato a un livello di vita decoroso; correttivi al sistema contributivo a partire dai tassi di sostituzione e dai coefficienti di trasformazione; pensionamento flessibile a 62 anni o quota 100 fra contributi ed età; indisponibilità assoluta a ricalcoli della pensione anticipata con il metodo contributivo; 41 anni di contribuzione per la pensione di anzianità senza penalizzazioni; ricongiunzione non onerosa dei contributi previdenziali maturati in gestioni diverse; riconoscimento della contribuzione figurativa per il lavoro di cura; potenziamento della previdenza complementare; completa equiparazione della no tax area dei pensionati con quella dei lavoratori dipendenti.

Certo, guardando indietro, riconosciamo i diritti persi, le occasioni mancate, le arroganze del sistema che non siamo riusciti a fermare o contrastare con la dovuta energia. Ma guardando in avanti riproponiamo la determinazione di una Cgil che vuole davvero restituire alla società un sistema previdenziale pubblico, dignitoso, universale e solidaristico.

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