Nella sua tredicesima edizione, il rapporto edito da Ediesse descrive la situazione che fa perno attorno alla “prima guerra mondiale della finanza”, già documentata in passato.

Giunto alla tredicesima edizione, il Rapporto sui diritti globali è significativamente titolato “Il nuovo disordine mondiale”. Un disordine che fa perno attorno a quella “prima guerra mondiale della finanza” già documentata negli ultimi anni, e che nel 2015 ha visto una decisa accelerazione. Una guerra articolata su più fronti, a partire da quello contro i lavoratori, i ceti meno abbienti e i paesi recalcitranti alla dittatura della troika e alla disciplina dell’austerity; come da ultimo abbiamo visto in Grecia, cui è dedicato il focus del primo capitolo del volume.

A fianco di questa nuova forma di neo-colonialismo, solo apparentemente meno cruento di quello dei secoli scorsi, continuano e si ampliano le guerre tradizionali, calde e fredde, dentro una strategia di alterazione degli equilibri geopolitici. Una strategia assai scivolosa, che sta resuscitando anche fantasmi del secolo scorso, con il riarmo nucleare avviato dall’amministrazione Obama, che comporta una spesa di 1.000 miliardi di dollari in dieci anni, di cui oltre 200 già stanziati. Dunque una strategia anche assai costosa: basti dire che, attualmente, l’impatto complessivo delle guerre viene stimato in ben 14.300 miliardi di dollari. Al solito, costi per il pubblico, ma profitti stratosferici per il privato: l’indice Bloomberg, che traccia le aziende del settore aerospaziale e della difesa, è partito al rialzo dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre scorso.

I costi non sono solo economici: l’industria della guerra nel 2014 ha prodotto 180mila vittime dirette, oltre a quelle indirette dovute alle migrazioni forzate. Vittime, peraltro, rispetto alle quali vige un cordoglio pubblico asimmetrico, essendo in grandissima parte nascoste alla vista e all’informazione.

È una strategia volta, sul piano economico e geopolitico, a contrastare la crescita della Cina e il coagulo tra i paesi “Brics”, a rallentare il declino americano, ad accaparrarsi e controllare le risorse strategiche, e ad aprire ancora di più uno spazio globale e incontrollato ai mercati, vale a dire alle corporation, come si sta facendo anche con le trattative sul TTIP in corso tra Usa ed Ue, cui è dedicato uno degli approfondimenti del Rapporto 2015.

Nel frattempo, e contemporaneamente, la gestione della crisi approfondisce la guerra contro le fasce sociali più vulnerabili, nelle aree meno sviluppate del mondo ma anche in occidente, dove è crescente e multiforme la criminalizzazione delle povertà; dove si ampliano a dismisura il lavoro povero e quello servile, il precariato e le forme di lavoro gratuito; dove la forbice delle diseguaglianze si è allargata a livelli inediti e intollerabili. Basti un solo esempio: la famiglia Walton, proprietaria della catena dei magazzini Wal-Mart, possiede una ricchezza pari a quella di 2 milioni e 257mila famiglie medie americane, vale a dire 172 miliardi di dollari.
La guerra mondiale in corso è rivolta anche contro il pianeta, con i cambiamenti climatici, la deforestazione - nel 2014 sono scomparsi 18 milioni di ettari di foreste, una superficie pari a quella della Siria - la perdita delle biodiversità, l’inquinamento, la cementificazione. Una rapina del presente, che uccide il futuro delle nuove generazioni.

È una guerra del cibo e dell’acqua, per l’accaparramento di risorse, con la speculazione finanziaria e la privatizzazione dei beni comuni, con le sovvenzioni all’agricoltura industriale intensiva e agli allevamenti snaturanti, con il monopolio della grande distribuzione alimentare, con il land grabbing: nei primi 12 anni di questo secolo sono stati acquistati, o affittati per periodi sino a 99 anni, circa 203 milioni di ettari di terre: una superficie pari alle dimensioni dell’Europa nord-occidentale.

Il quadro non induce certo a ottimismi, ma accresce la consapevolezza che conoscere la realtà è il primo passo per cambiarla; convinti, con Rosa Luxemburg e il compianto Luciano Gallino, che “dire ciò che è rimane l’atto più rivoluzionario”. Un impegno cui il Rapporto sui diritti globali, con le sue piccole forze, cerca di essere fedele da tredici anni. 

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