Sarebbe bello immaginare la capitale del paese come campione dell’accoglienza. Ma nessuno ne parla, tutti glissano.

Parlare delle prossime elezioni amministrative per il comune di Roma è oltremodo difficile, per le condizioni che hanno portato al commissariamento, per la confusione dell’offerta politica, per il debito che grava sul bilancio capitolino. Ricordiamo, solo per memoria, che per la prima volta un’esperienza politica, come quella rappresentata dal sindaco Marino, si è chiusa per l’ostilità del proprio partito di riferimento, fuori dal normale confronto in aula consiliare e davanti a un notaio, con la partecipazione di forze rappresentanti l’opposizione (Partito della Nazione?).

Oggi a contendersi lo scranno di primo cittadino sono in campo forze assai eterogenee: dal M5S della Raggi, la cui proposta politica risulta ancora indefinita, alla coalizione realizzata in extremis con Marchini (supportato da Berlusconi e dalla Destra di Storace), fino al connubio Lega-Fratelli d’Italia con l’offerta rappresentata dalla Meloni. Su Sinistra per Roma, coalizione della sinistra romana capeggiata da Fassina, siamo in attesa di comprendere se riuscirà a compiere il salto qualitativo e quantitativo che non è riuscito a diverse liste che si sono cimentate col processo di unificazione della sinistra nelle scorse tornate elettorali.

In questo contesto, rischiano di avere poco significato le ricette politiche, mentre paiono più determinanti approcci di natura strutturale alla gestione politico-amministrativa di Roma. Ritengo ci siano due questioni sostanziali, entrambe precipuamente politiche, anche se diverse fra loro. La prima concerne l’immane debito che grava sul bilancio capitolino (alla gestione commissariale si registra un deficit di circa 13 miliardi di euro) e l’addizionale Irpef più alta del paese: chiunque vada a governare la capitale non può che cominciare da questo.

Sarebbe indispensabile una proposta di ristrutturazione del debito in grado di incidere sulla produzione di interessi (l’addizionale viene riversata quasi esclusivamente a copertura di questi ultimi). Su queste basi è stata articolata una proposta proprio da Sinistra per Roma, facendo riferimento al ruolo della Cassa depositi e prestiti. Diversamente, ogni proposta, anche nei settori strategici (trasporti, rifiuti, sociale) rischia di infrangersi sul muro della compatibilità economica, e dei vincoli del patto di stabilità.

La seconda questione riguarda il modello partecipativo. Assodato il distacco crescente fra la cittadinanza e le forze politiche, una delle questioni centrali per il governo della città sta nella scelta del metodo di confronto con la cittadinanza e i corpi intermedi. La fase di ascolto – che pure molti candidati hanno vantato – non è più sufficiente: diventa determinante il modo con cui si coinvolgono le molteplici realtà sul territorio, e i diversi portatori d’interessi. Esemplificativa, in questo senso, è l’esperienza che stanno conducendo i movimenti per la casa, o quella parte dell’associazionismo romano che sta per essere sfrattato dagli immobili del comune di Roma, e che svolgono un ruolo di coesione sociale, quando non di vera e propria sussidiarietà, oramai consolidato.

La riproposizione della discussione sull’utilizzo del patrimonio pubblico, e la derivata riflessione sul concetto giuridico di bene comune, è soltanto una delle suggestioni che si aprono al dibattito cittadino, mentre la giunta prefettizia prova a risolvere i problemi con gli sgomberi e gli idranti. Da ultimo, ma non certo per importanza, si pone la questione dell’accoglienza dei rifugiati, ossia di quel sistema divenuto famoso per Mafia Capitale. In realtà, l’accoglienza dei richiedenti protezione – tema strutturale e non emergenziale – si pone come la cartina di tornasole della campagna elettorale in corso. Nessuno ne parla, tutti glissano.

Sarebbe bello immaginare la capitale del paese come campione dell’accoglienza, dove l’obiettivo dell’inclusione fosse quello prioritario, dove l’istituzione pubblica gestisse in prima persona - anche attraverso l’uso del suo patrimonio immobiliare - un’accoglienza diffusa, distribuita su tutto il territorio e dove gli stessi migranti fossero parte attiva nella definizione di una rete in grado di attraversare l’ambito lavorativo, formativo, sanitario e sociale. Sarebbe bello, ma non sarà così. Anche per questo sarà importante rilanciare il protagonismo sindacale confederale, magari attivando reti di relazioni stabili con tutti gli altri soggetti attivi nella città.

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