Il rinnovo qualitativo di molti Contratti collettivi nazionali di lavoro è un banco di prova per le categorie e per tutta la Confederazione. Lo sottolinea anche la proposta del segretario generale al Direttivo Cgil: una grande assemblea di delegati/e dei settori che stanno lottando per il rinnovo dei contratti. Un elemento di novità e un obiettivo qualificante da costruire insieme, verso una mobilitazione generale che vedrà impegnata tutta la Cgil.

Confindustria vuole imporre un modello contrattuale regressivo e divisivo, con il sostegno di un governo - privo di una politica per la crescita del lavoro - che vorrebbe intervenire per legge sul modello contrattuale e sul salario minimo “legale”, per livellare i salari contrattuali verso il basso e spostare la contrattazione salariale a livello aziendale, svuotando così il ruolo redistributivo e la funzione generale del Ccnl.

E’ una scelta: si prefigura il modello contrattuale e si condiziona così il confronto a un tavolo nazionale peraltro ancora da conquistare. Sarà un confronto duro, che affrontiamo però forti del documento unitario di Cgil Cisl Uil. Il neo presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ripropone come uscita dalla crisi ricette stantie e fallimentari, e un’analisi vecchia sulla ridotta produttività del sistema industriale. Non il ritardo tecnologico e i mancati investimenti pubblici e privati, non l’arretratezza del sistema produttivo e le ingiustizie conosciute come la grave disoccupazione giovanile, ma ancora salario e diritti sono additati come i problemi del paese. Chiedono a noi di superare le ideologie per imporre ideologicamente le loro.

Il confronto su importanti rinnovi contrattuali, nonostante le mobilitazioni, non sta producendo passi in avanti. Questo vale per i metalmeccanici, per la grande distribuzione, il turismo, i multiservizi, e per il settore pubblico, con i contratti fermi da oltre sette anni. Su tutti i tavoli si negano miglioramenti salariali nazionali, sostituendo il salario con welfare integrativo o demandandolo al secondo livello legandolo a una non controllabile “produttività” aziendale. Eppure siamo il paese nel quale il lavoratore dipendente, in spregio all’articolo 36 della Costituzione, non percepisce “una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Un paese in cui una diseguaglianza che arriva da lontano si alimenta, e dilaga, attraverso la riduzione del reddito, delle pensioni e dei salari, tra i più bassi d’Europa.

Siamo in uno scontro di ordine generale sul valore del lavoro, sulla redistribuzione della ricchezza e sul futuro del paese. Per questo va giocato a tutto campo, unendo tutte le forze disponibili.

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