Partendo dal racconto delle proprie “storie”, gli autori - Sara Lolli, lavoratrice e rappresentante sindacale nelle cooperative sociali, e Cesare Caiazza, che come dirigente territoriale della Cgil ha seguito i temi delle politiche sociali - spiegano, descrivono ed analizzano la precondizione che è alla base del fenomeno “mafia capitale”: il pesante sfruttamento del lavoro. Un fenomeno diffuso, fatto di retribuzioni bassissime, e assenza di tutele e diritti dei lavoratori e delle lavoratrici che operano nell’ambito di quelle cooperative sociali che sono “centrali e nevralgiche” nel sistema economico e criminale Carminati-Buzzi.

Un fenomeno antico in verità, se, come notano gli autori fin dalla premessa del libro, la questione morale, l’involuzione e lo snaturamento che affliggono il mondo della cooperazione, furono autorevolmente denunciati undici anni fa dalla straordinaria personalità di Bruno Trentin. Dopo il caso Consorte–Unipol, in un’intervista del 31 dicembre 2005 al quotidiano L’Unità, con un’analisi lucida e puntuale Trentin denunciò la “modificazione culturale e di identità” da parte delle cooperative. Nel corso dell’intervista Trentin sollevò specifici temi, che oggi appaiono premonitori di fronte alla realtà portata alla luce da indagini come quella di “mafia capitale”, che attenevano al pesante sfruttamento del lavoro nelle cooperative sociali, e a rapporti poco trasparenti tra cooperazione e politica, con gli insiti rischi di infiltrazioni criminali.

Analisi e valutazioni – ricordano ancora gli autori – che anziché indurre ad un’attenta riflessione e alla necessaria assunzione di responsabilità, provocarono una reazione difensiva e scomposta da parte dei rappresentanti delle centrali cooperative, in primis l’attuale ministro del lavoro Giuliano Poletti, al tempo presidente di Legacoop, che definì le affermazioni e i giudizi di Trentin come “frasi al limite della diffamazione”. Ma se l’appello di Bruno Trentin fosse stato preso in considerazione – riflettono gli autori - forse non avremmo di fronte oggi quella realtà, evidenziata da tante inchieste della magistratura, che il libro prova a raccontare e analizzare e che attiene, essenzialmente, alla “perdita dell’anima originaria” da parte delle cooperative, divenute prevalentemente luogo di pesante sfruttamento del lavoro, che consente enormi utili di impresa (estranei e in contraddizione con gli ideali fondanti dell’esperienza cooperativistica: mutualistica, solidaristica e senza scopi di lucro) “appetibili” per interessi malavitosi, criminali e mafiosi.

In questo quadro, le recenti modifiche legislative imposte dal governo, attraverso il jobs act e la riforma del terzo settore, stanno determinando un ulteriore peggioramento delle condizioni del lavoro, accompagnato da un consistente aumento degli utili per le attività di cooperative che, in questo modo, risultano ancora più esposte a fenomeni di illegalità diffusa. Sono temi che interessano non solo Roma bensì l’intera nazione, segnata negli ultimi trent’anni dall’affermazione di quella cultura liberista che ha portato verso la privatizzazione di servizi pubblici e universali. E che, in paralello, ha finito con il contaminare in maniera pesante e negativa anche quell’esperienza della cooperazione, nata con ben altro spirito ed ideale.

Una realtà che, a giudizio degli autori, va modificata radicalmente attraverso interventi strutturali e profondi, capaci di riscattare il lavoro da ogni forma di sfruttamento e di schiavitù. Solo un lavoro contrassegnato da tutele, diritti ed equa retribuzione può garantire la qualità delle prestazioni e dei servizi, in una delicata e complessa sfera come quella delle attività socio-sanitarie e assistenziali. Ridare centralità e dignità al lavoro (coerentemente con i principi fondamentali della nostra straordinaria e bella Costituzione, che deve essere davvero applicata e valorizzata, non stravolta con modifiche pasticciate e sbagliate) rappresenta l’unico modo per aggredire alle fondamenta l’illegalità. Significa anche creare le condizioni affinché fenomeni come quello di “mafia capitale” non si ripetano.

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