Piegato al momento il rifiuto della Vallonia, ora bisogna premere per il “No” dei parlamenti nazionali e di quello europeo.

Alla fine la firma è arrivata: domenica 30 ottobre, in tutta fretta, la Commissione europea e il governo canadese hanno approvato il Ceta, accordo di liberalizzazione commerciale che dovrebbe portare all’abbattimento di oltre il 97% tra dazi e dogane tra Canada e Europa.

A nulla è valsa la resistenza della Vallonia, la regione belga cui risponde la capitale dell’euroburocrazia, Bruxelles. Paul Magnette, presidente socialista della regione, ha negato il suo consenso al governo federale del Belgio a firmare anche a suo nome il Ceta, bloccando la conclusione del negoziato per un paio di settimane. Alla fine, dopo pressioni indicibili, ha ceduto, e la foto ricordo è stata scattata in diretta streaming.

La Commissione europea sostiene che il Ceta sia un’occasione da non perdere perché aumenterà l’interscambio di merci e servizi Ue-Canada del 23%, e il prodotto interno lordo dell’Ue di circa 12 miliardi di euro l’anno. Questo perché rimuoverà il 99% delle tariffe nel commercio Ue-Canada.

Altri studi d’impatto, però, dimostrano che il trattato porterà a un incremento dello 0,09% annuo del Pil europeo, dopo non meno di sette anni dalla sua entrata in vigore. In cambio di qualche vantaggio in più per un pugno d’esportatori, oltre ad esserci una perdita secca di oltre 600mila posti di lavoro, stando a uno studio della Tufts University americana, verrebbero schiacciate sotto la pressione dei profitti regole importanti come quelle che in Europa tutelano diritti fondamentali quali la protezione della salute e la sicurezza alimentare.

Il Ceta infatti ha la stessa struttura e le stesse insidie del Ttip, analogo accordo che l’Europa non riesce a chiudere con gli Stati Uniti. Esso consentirebbe alle oltre 40mila grandi imprese Usa che hanno consociate in Canada - tra cui giganti dell’agroalimentare come Coca Cola, McDonald, Cargill, ConAgra Foods - di ottenere gli stessi privilegi che garantirebbe loro il Ttip: la possibilità di influenzare la formulazione e l’applicazione di regole e standard che limitino i loro profitti e la facoltà di citare i nostri Stati in giudizio, con il meccanismo dell’Investment Court System o Ics, se si sentissero danneggiate dalle regole democratiche.

Nel rapporto “Butta quella pasta” appena pubblicato dalla Campagna Stop Ttip Italia, si punta il dito contro l’ingresso massiccio di grano e di pasta canadesi, carichi di tossine e di residui di diserbante. Le leggi nazionali sui limiti alla presenza di tossine nei cereali sono stringenti e in Italia, dalla scorsa estate, è vietato irrorare i campi, ma anche i parchi pubblici e i giardini delle scuole con il glifosato, ingrediente chiave del diserbante Roundup, prodotto di punta del colosso agroalimentare Monsanto, dopo che l’Organizzazione mondiale della Sanità l’ha definito cancerogeno. In Canada invece lo si spruzza ancora in fase di raccolto.

Questo massiccio ingresso di grano d’oltreoceano, che si aggiungerebbe a flussi attuali già importanti, deprimerebbe ancora di più i prezzi al produttore, in caduta libera da anni, che fanno sì che siano già oggi a rischio crack 300mila aziende agricole italiane e 2 milioni di ettari di terreno, soprattutto al sud.

Il Ceta è stato negoziato tra l’Ue e il Canada dal 2009. Come il Ttip, è stato negoziato in gran parte in segreto, senza alcun controllo da parte del Parlamento italiano, come di tutti gli altri parlamenti nazionali. Le negoziazioni del trattato sono state concluse nel settembre 2014. La Commissione ha proposto al Consiglio di firmarlo nel 2016, contestualmente proponendo l’applicazione provvisoria delle parti di competenza esclusiva Ue (peraltro non identificate, creandosi così un inquietante stato di incertezza giuridica). Il Parlamento europeo, che voterà tendenzialmente entro dicembre l’approvazione o la bocciatura del Ceta, sembra uscire provato da questo passaggio. Tra cristiani e socialdemocratici, dalla Francia alla Germania e persino dei paesi nordici, è tutto un fiorire di dichiarazioni dove si esprime felicità per lo scampato pericolo dello stop alla firma.
Il 5 novembre scorso in molte città d’Italia, da Milano a Torino, a Verona e a Roma, associazioni, sindacati e movimenti hanno ribadito con azioni simboliche il loro “No” al Ceta, e una delegazione Stop Ttip è stata invitata in Vaticano per partecipare all’incontro di papa Francesco con i movimenti sociali. La resistenza continua.

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