L’alluvione di Livorno farà aprire gli occhi? Le nove vittime dello straripamento dei torrenti Riomaggiore, Ardenza e Chioma, e gli ingentissimi danni - stimati in centinaia di milioni - che hanno ferito la (sola) zona sud del capoluogo labronico, non sono soltanto un effetto diretto di una tropicalizzazione “inquinatoria” del clima ancora colpevolmente snobbata dai padroni planetari del vapore. Negli ultimi sette anni sono 126 i comuni italiani dove si sono registrati disastri a causa di 242 fenomeni considerati “rilevanti” dai meteorologi. Ma ancora più rilevante è il tributo umano: 160 morti, e oltre 40mila persone costrette a lasciare le proprie abitazioni.

Anche a Livorno sono venuti al pettine i nodi di una cementificazione insensata, con case costruite in mezzo a due rami di un torrente o accanto agli argini. E se al cambiamento climatico si accoppia l’abuso molto italiano del cemento – compreso quello per “tombare” i torrenti – ne viene fuori un cocktail micidiale.

Intervenire in emergenza è poi risultato molto più costoso di quanto lo sarebbe stato con una seria pianificazione degli interventi per far fronte alla messa in sicurezza del territorio e prevenire il dissesto idrogeologico: ad oggi in Italia sarebbero sufficienti 44 miliardi, contro i 175 spesi in mezzo secolo di “emergenza quotidiana”, ossimoro illuminante dello stato delle cose.

L’Italia è un paese a forte rischio idrogeologico, con ben 7.145 comuni (l’88% del totale) che hanno almeno una “zona rossa”, e con oltre 7 milioni di cittadini che vivono o lavorano in queste aree. Eppure, nei fatti, si continua a far finta di nulla. Anzi si persevera in politiche scellerate, “cambiando verso” perfino a leggi all’avanguardia come quella toscana sul governo del territorio, che era stata approvata appena tre anni fa...

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