Dare piena attuazione all’accordo del 30 novembre, per rinnovare finalmente i contratti del pubblico impiego. 

I contratti collettivi di lavoro dei dipendenti pubblici sono fermi al 2009, tranne qualche eccezione rappresentata dalle province e regioni autonome dove i contratti sono stati recentemente rinnovati. Siamo entrati quindi nell’ottavo anno di blocco contrattuale con conseguente, grave, perdita salariale e del potere di acquisto per oltre 3 milioni di lavoratori.

Nonostante le molteplici iniziative vertenziali, messe in atto anche unitamente agli altri sindacati, non siamo riusciti a smuovere i governi che si sono avvicendati dal 2009 ad oggi. In questo abbiamo dovuto prendere atto di una formidabile, quanto assoluta, soluzione di continuità tra governi di centrodestra e governi di centrosinistra. Il “dagli al lavoratore pubblico”, sdoganato da Brunetta nel 2008, ha accomunato tutte le forze politiche che man mano hanno composto l’esecutivo.

C’è voluta una sentenza della Corte Costituzionale per sbloccare la situazione. La Corte, infatti, su ricorsi di diverse organizzazioni sindacali, ha sentenziato che il blocco così lungamente protratto fosse immotivato, imponendo alla parte pubblica di riprendere il confronto per il rinnovo contrattuale. Peccato abbia stabilito anche l’impossibilità di recuperare quanto perso nel periodo.

Dal luglio 2015, data della sentenza, arriviamo ad oggi. Non è stata una passeggiata e pertanto vale la pena di ripercorrere le tappe principali. Nel novembre 2015 organizzammo una grande manifestazione a Roma. Nell’aprile 2016 arrivammo, con le confederazioni, all’accordo sulla riduzione dei comparti di contrattazione, passati a quattro: funzioni centrali, sanità, istruzione e ricerca, enti locali. Un passaggio imprescindibile per l’avvio del confronto imposto dal decreto legislativo 150 del 2009. Da aprile a giugno 2016 abbiamo organizzato scioperi territoriali in tutto il paese. Nel luglio 2016 arriva la convocazione del ministro, senza grossi risultati, e nel successivo mese di settembre avviamo la maratona dei contratti pubblici. I sindacati avanzano richiesta formale di apertura del tavolo con la denuncia dell’esiguità delle risorse messe a disposizione: 300 milioni. Siamo in ottobre.

Il 30 novembre, finalmente, si stipula l’accordo per l’avvio della trattativa dei contratti pubblici. La mobilitazione ha portato le risorse a 1.200 milioni a regime. Risorse sicuramente ancora insufficienti per quanto stabilito dall’accordo del novembre 2016 - incrementi retributivi non inferiori a 85 euro e che non incidano sugli 80 di bonus fiscale - ma che potrebbero rappresentare un punto di partenza. Ma l’accordo non prevede solo la possibilità di incrementare la parte fondamentale della retribuzione. Si superano le tre fasce valutative di brunettiana memoria, si chiude la stagione degli atti unilaterali, si irrobustisce la contrattazione di secondo livello, assegnando maggior peso alle Rsu, e si investe sul welfare contrattuale.

Qui deve essere chiaro che per la Cgil e la Fp Cgil ogni euro investito sul welfare contrattuale è aggiuntivo agli 85 da mettere sul tabellare. Così come deve essere chiaro che il welfare potrà essere contrattuale, magari territoriale, ma difficilmente aziendale. Inoltre, come sancito dall’accordo del 30 novembre, dovrà integrare ed implementare le prestazioni pubbliche. Altro elemento di chiarezza riguarda l’interpretazione del concetto di welfare contrattuale: è la prestazione sociale integrativa, non è la retta della palestra.

Su tutto questo si aprirà un difficile confronto. Qui dovremo avere la capacità di costruire, insieme alla Cgil, proposte di alto profilo e concretamente innovative, perché è su questo che abbiamo sfidato il governo. La massima attenzione dovrà essere dedicata alla vigilanza più puntuale affinché le derive, già in atto, che vedono governi orientati alla riduzione del finanziamento del sistema di welfare pubblico, e del sistema sanitario pubblico, non facciano cadere in contraddizione il sistema di welfare integrativo, mai sostitutivo, che immaginiamo.

Nel frattempo il decreto che modificherà il Testo Unico degli impiegati civili dello Stato arriva in parlamento. Nelle norme transitorie risponde alle richieste di superamento della precarietà, ovvero la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Stabilisce principi da rendere attuabili e sarà necessario, in questo passaggio, scongiurare l’esclusione di grosse fette di precarietà. La partita è da giocare, torneremo sull’argomento.

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