Il decreto Minniti ricalca il “pacchetto sicurezza” di Maroni. A scapito degli emarginati e dei lavoratori delle polizie locali.

Nei giorni scorsi è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il testo del decreto legge governativo 20 febbraio 2017 numero 14, “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza nelle città”. Un provvedimento che nel titolo parrebbe evocare una preoccupante novità, l’urgenza in materia di sicurezza nelle città, problema che in verità si trascina da anni, in particolare nelle periferie urbane. Il testo approvato, a mio parere, è sovrapponibile e ricalca quasi fedelmente il contenuto del “pacchetto sicurezza” presentato dall’allora ministro Maroni nel 2008, norma che Minniti, all’epoca “ministro ombra”, contestò.

La sicurezza a parole assurge, in maniera condivisibile, a nozione di bene pubblico e quindi oggetto di diritti. Il testo consente ai sindaci di ampliare i propri poteri di intervento e contrasto alle situazioni di degrado urbano, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, i fenomeni di violenza, il danneggiamento al patrimonio pubblico e privato, l’abuso di alcool, l’occupazione di immobili e suolo pubblico, l’abusivismo commerciale.

Sono tutti fenomeni che sono spesso espressione di un disagio sociale figlio delle condizioni economiche, della mancanza di lavoro, della marginalità in cui si trova una buona fetta della nostra società. Tutte ricette di cui sentiamo parlare in modo “bipartisan” da anni, a costo zero perchè senza impegno di spesa e previsioni occupazionali. Proposte intrise di approcci solo securitari, e che non intrecciano rimedi e politiche sociali di assistenza e solidarietà con una giusta e necessaria dose di fermezza.

Ai sindaci, in modo particolare in alcune zone del paese, si lascia lo spazio per dimenticarsi delle politiche di welfare, e per lanciarsi in strumentali operazioni di facciata che fanno guadagnare voti e consenso. L’accanimento contro l’accattonaggio ricorda il furore con cui nel ‘700 le guardie e i benpensanti si scagliavano contro i poveri e i vagabondi.

Immaginate la gioia del sindaco di Venezia, che dopo aver destrutturato tutti i servizi sociali a sostegno delle vittime di povertà, dipendenze e prostituzione, già mesi fa propose di trasferire in periferia le mense per i poveri e lì progettare la “cittadella della povertà”. O di quello di Albettone, nel vicentino, che annuncia: “Se ci mandano gli immigrati muriamo le case e le riempiamo di letame, siamo orgogliosamente razzisti, i negri e gli zingari da noi rischiano la pelle”. Mentre il sindaco di Rovigo, dopo l’annuncio del decreto, ha affermato: “Datemi i manganelli e Rovigo la raddrizzo in sei mesi”.

Vengono ribadite le competenze esclusive dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, si riparla di patti per la sicurezza urbana, di sicurezza integrata e collaborazione tra le forze di polizia e la polizia locale nell’ambito delle rispettive competenze e responsabilità. Rapporti mai chiariti perchè fa comodo a molti, dai sindaci ai prefetti ai magistrati, avere a disposizione un proprio manipolo di uomini (la polizia locale).

Da anni i sindacati chiedono la revisione della legge quadro sull’ordinamento della polizia municipale, per definire e garantire meglio il rispetto delle proprie competenze nell’ambito dei comuni e delle province. La risposta dello Stato è stata la cancellazione, in nome della spending review, delle tutele individuali essenziali, equo indennizzo e riconoscimento delle malattie professionali causate da infortuni e condizioni ambientali, che portano al paradosso di perdere parte del salario in caso di eventi che a volte sono gravi e a volte anche mortali.

Credo che il modello cui ispirarsi debba essere quello della sicurezza dei diritti che mette al centro le città ed è rivolto alla prevenzione dell’emarginazione sociale attraverso interventi sociali e di prossimità. A tal fine la polizia locale può essere un punto di riferimento lasciando alle forze di polizia la repressione. In caso contrario questo decreto, senza correttivi, rappresenta un obsoleto annuncio a scapito della concretezza.

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