“Dopo aver trascorso gli ultimi 15 anni in una prigione israeliana sono stato sia un testimone, sia una vittima del sistema illegale di Israele di arresti arbitrari di massa e maltrattamenti di prigionieri palestinesi. Dopo aver esaurito tutte le altre opzioni, ho deciso che non c’era altra scelta che resistere a questi abusi cominciando uno sciopero della fame”. Lo scrive Marwan Barghouti nella lettera al New York Times, sullo sciopero che dal 17 aprile conduce assieme a circa 1.500 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.

La campagna per la liberazione sua e di tutti i prigionieri politici - lanciata nel 2013 dalla moglie Fadwa e da Ahmed Kathrada, simbolo della lotta anti apartheid in Sud Africa, dalla ex-cella di Nelson Mandela nel carcere di Robben Island - è sostenuta da otto premi Nobel per la pace, 120 governi e centinaia di parlamentari, dirigenti politici, artisti e accademici. “ La loro solidarietà smaschera il fallimento morale e politico di Israele. I diritti non sono elargiti da un oppressore. La libertà e la dignità sono diritti universali che sono connaturati all’umanità e devono essere goduti da ogni nazione e da tutti gli esseri umani. I palestinesi non saranno una eccezione. Solo porre fine all’occupazione potrà far cessare questa ingiustizia e segnare la nascita della pace”.

Dal 1967, circa 800mila palestinesi sono stati detenuti nelle carceri israeliane, cioè il 20% di tutta la popolazione palestinese dei territori occupati. Come ha detto Mai Masri, regista del bellissimo film “3.000 notti” - protagonista una prigioniera palestinese, nel suo rapporto con la paura e la violenza, poi con la maternità e le altre prigioniere, palestinesi e israeliane, la sua partecipazione a un grande sciopero delle donne - ogni famiglia palestinese è stata toccata dal dramma della prigione, con uno o più dei suoi componenti. La prigione è per la popolazione palestinese una dimensione fisica e psicologica, i prigionieri palestinesi rappresentano un punto di riferimento e di massima solidarietà di tutta la popolazione (http://palestinaculturaliberta.wordpress.com).

Dall’inizio del 2017, le autorità israeliane di occupazione hanno arrestato 1.597 palestinesi, tra cui 46 donne e 311 minori. Nel 2016, Israele ha arrestato 6.440 palestinesi. Oggi sono circa settemila le prigioniere e i prigionieri nelle carceri israeliane.

Il 17 aprile, giornata dedicata ogni anno ai prigionieri palestinesi, Amnesty International (https://www.amnesty.org/en/latest/news/2017/04/israel-must-end-unlawful-and-cruel-policies-towards-palestinian-prisoners) ha dichiarato che Israele porta avanti da decenni politiche illegali e crudeli nei confronti dei detenuti palestinesi nelle prigioni israeliane, che in alcuni casi non vedono da anni i loro familiari. Ai palestinesi detenuti per motivi di sicurezza è anche impedito di fare telefonate alla famiglia. Si tratta di una violazione del diritto umanitario internazionale (Quarta Convenzione di Ginevra), come sostiene Magdalena Mughrabi, vicedirettrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International. “Israele dovrebbe assicurare che i palestinesi arrestati nei Territori occupati siano trattenuti in prigioni e centri di detenzione situati negli stessi Territori. Fino a quando non sarà così, chiediamo alle autorità israeliane di cessare d’imporre restrizioni eccessive al diritto di visita, che attualmente rappresentano una punizione tanto per i prigionieri quanto per le loro famiglie”, ha aggiunto Mughrabi.

I 1.500 prigionieri palestinesi in sciopero della fame chiedono la fine delle limitazioni alle visite e ai contatti con i familiari; un migliore accesso alle cure mediche; l’aumento della durata delle visite da 45 a 90 minuti; la rimozione della lastra di vetro per le detenute, in modo da poter prendere in braccio i figli durante le visite; la fine delle restrizioni all’ingresso di libri, vestiti, cibo e regali da parte delle famiglie; il ripristino di alcune attività educative, e l’installazione di più telefoni.

Tra i detenuti, le donne sono 57 e i minori di 18 anni 300, tra cui 13 ragazze. Sono incarcerati anche 13 componenti del Consiglio legislativo palestinese. Almeno 500 palestinesi si trovano in detenzione amministrativa senza accusa né processo, una prassi contraria al diritto internazionale. Il trattamento riservato ai detenuti di Gaza, attualmente 365, è più duro: le famiglie possono effettuare visite solo ogni due mesi.

Il figlio di Marwan, Qassam, in una intervista al manifesto, ha dichiarato: “su di un punto Marwan Barghouti è categorico: è fondamentale per i palestinesi ritrovare subito una piena coesione politica e sociale. Senza l’unità palestinese e una piattaforma politica nazionale, ogni sforzo per la liberazione si rivelerà inutile”.

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