Un seminario per approfondire gli strumenti di iniziativa sindacale verso il capitalismo digitale.

Lo scorso 24 ottobre si è tenuto, presso la sede nazionale della Cgil, un interessante seminario che si inserisce in un progetto presentato dalla Filcams e finanziato dalla Commissione europea, intitolato “Dress-code for european multinational companies: a challenge for glocal industrial relations”, la cui traduzione suonerebbe all’incirca come “Un codice di ingaggio con le multinazionali europee: una sfida per le relazioni industriali glocali”. Lo scenario di riferimento è quello del potere finanziario delle imprese multinazionali all’interno di un mercato plasmato dalla finanza e fortemente digitalizzato.

La fluidità del mondo del lavoro, con un forte accento sulla digitalizzazione e sull’individualizzazione dei rapporti di lavoro, ha condotto e conduce il lavoratore ad una marginalità sempre più accentuata. In questo quadro si rende necessario ricondurre a una rinnovata centralità della persona del lavoratore nei processi produttivi.

Cambia il lavoro, cambiano le città e i luoghi di lavoro: diventano diffuse, smart, gentry. Per molte persone il lavoro è a distanza, senza un ufficio fisico; per altri il lavoro diventa estremamente elastico e allungato negli orari, e le città si trasformano di conseguenza, modificando la progettazione dei quartieri, dei servizi, ecc. Non bastano soltanto le nuove tecnologie a risolvere le nuove problematiche delle città: esse stesse sono produttrici di nuove esigenze: lavorative, di competenze professionali, economiche. E cambiano anche le sfide per il sindacato, in ordine a contesti di riferimento, pratiche e interlocutori.

Per illustrare e comprendere al meglio questi aspetti, sono intervenuti diversi relatori, ognuno dei quali ha illustrato una parte delle tessere di questo “puzzle”. Il dottor Mohammad Amir Anwar, ricercatore proveniente dall’Università di Oxford e geografo di internet del prestigioso Oxford Internet Institute, osservatorio di riferimento per la digital economy, ha trattato il tema della cosiddetta “Platform economy”, fornendo spunti interessanti sulla definizione del lavoro digitale a livello globale ma anche italiano. Ad esempio scopriamo che sulla sola piattaforma di Upwork vi sono circa 11.300 lavoratori italiani, di cui oltre 1.400 impegnati per un lavoro ricorrente.

Le trasformazioni del mercato del lavoro, e i processi di “Industria 4.0” in Germania, sono stati invece l’argomento trattato dal professor Michael Whittall, della Friedrich-Alexander University di Erlangen. L’intervento è stato utile per porre alla luce i cambiamenti non solo dell’industria manifatturiera, ma anche la rivoluzione che sta investendo il settore terziario e dei servizi. Argomento di cui si è occupato più specificatamente il dottor Davide Dazzi, ricercatore Ires Cgil Emilia Romagna, introducendo il quadro italiano delle trasformazioni del lavoro e della digitalizzazione nei settori terziario, commercio e servizi. Tania Scacchetti, segretaria nazionale Cgil, ha trattato invece il cammino e le sfide che le relazioni industriali hanno intrapreso da un’ottica confederale.

A fine seminario, sono intervenuto a nome della Filcams nazionale e ho cercato di delineare, a fronte delle opportunità offerte dalla digitalizzazione e dalle nuove tecnologie, i rischi per il mondo del terziario e del mercato del lavoro. Un universo composto da luci (poche) e ombre, dove non emerge una figura univoca di lavoro digitale, quanto piuttosto una realtà dalle differenti e opache sfaccettature, dove si inseriscono primi parziali tentativi di contrasto al potere del capitalismo digitale.

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