La scelta è fra difendere e far avanzare i diritti in un contesto nuovo, o scaricare sui lavoratori i costi dei cambiamenti.  

Ripensare il diritto del lavoro guardando al presente e al futuro: questa potrebbe essere la sintesi della proposta della Carta dei diritti avanzata dalla Cgil. Dove “ripensamento” significa fare i conti non solo con la ovvia necessità di smantellare quanto di contrario allo spirito del diritto del lavoro si è venuto accumulando negli ultimi venti anni, ma anche – e direi soprattutto - declinare i fondamenti del diritto del lavoro a fronte delle trasformazioni che il sistema economico ha subito negli stessi anni.

In altre parole: se in “Tempi Moderni” Charlie Chaplin alla catena di montaggio esemplificava una condizione comune a migliaia di persone compresse nelle mura di uno stesso luogo, oggi entrare in un ospedale, in un aeroporto, in un centro commerciale, ma anche in un luogo molto “classico” come la Fca di Melfi o la Fincantieri di Marghera, comporta l’incontro di migliaia di persone che pur lavorando nello stesso luogo hanno diverse condizioni contrattuali, diverse tipologie di impiego, in una parola diversi diritti. E se i diritti sono diversi, spesso agli occhi di chi ne ha meno quelli che ne hanno di più appaiono come privilegiati, e tanti saluti allo spirito di solidarietà e di inclusione che fanno del sindacato confederale qualcosa di diverso da un soggetto corporativo.

Questo è il tema che la Cgil ha voluto affrontare con la Carta dei diritti, e i due referendum ammessi (solidarietà negli appalti e abolizione dei voucher) riguardano proprio il grumo di problemi segnalato sopra. Ovviamente i referendum sono abrogativi, e quindi devono limitarsi a cancellare quanto previsto dall’ordinamento: l’infinita sequela di passaggi imposti dalla legge prima di poter chiamare in giudizio il committente principale della catena di appalti e subappalti, con il rischio che nel frattempo siano passati i 24 mesi dai fatti contestati e che quindi la rivendicazione svanisca nel nulla; o la totale assenza di limiti, salvo quello economico, per l’utilizzo dei voucher.

Nella Carta invece la Cgil prova a tracciare soluzioni positive su entrambi i temi, che ora cerco di sintetizzare. Appalto e responsabilità solidale: agli articoli 88 e seguenti non solo si riformulano correttamente i principi di responsabilità solidale, ripristinando senza scorciatoie la responsabilità in capo al primo committente di quanto avviene nell’intera filiera successiva quanto a retribuzioni ed obblighi contributivi, ma si introduce un principio generale di controllo sulla genuinità delle svariate forme in cui negli anni si sono caratterizzati i tanti modi di esternalizzazione/smantellamento del ciclo produttivo attraverso il principio della tutela della condizione paritaria - sia occupazionale (clausola sociale) che di reddito e condizioni contrattuali - del lavoratore che si trovi coinvolto in ogni fattispecie di esternalizzazione.

Voucher: si propone (articoli 80 e 81) un rapporto di lavoro subordinato di tipo occasionale, con un limite chiaro sia riguardo ai campi di utilizzo (esclusivamente lavoro aggiuntivo nelle attività domestiche, piccoli lavori di manutenzione e giardinaggio, insegnamento privato, fiere e eventi occasionali), sia riguardo ai soggetti abilitati (pensionati, studenti, disoccupati non percettori di ammortizzatori, inoccupati). Si pone altresì un limite di 2.500 euro e/o di 40 giornate di impiego massimo annuo. La definizione di “lavoro subordinato occasionale” comporta conseguenze importanti anche sul piano previdenziale, in quanto la contribuzione (13% sul valore facciale di 10 euro orari) affluisce direttamente al Fondo lavoratori dipendenti, e non più alla Gestione separata Inps com’è oggi: ciò determina non solo l’applicazione del principio dell’automatismo delle prestazioni (il diritto non viene perduto a fronte del mancato versamento contributivo), ma anche che ogni versamento è utile, per minimo che sia, mentre oggi il diritto è negato se l’ammontare mensile della retribuzione non raggiunge il minimale fissato ogni anno dall’Inps, che per il 2017 è attorno a 1.200 euro (ossia 120 voucher!).

Insomma la Carta dimostra che si possono affrontare i problemi di oggi senza scaricare sui diritti dei lavoratori le esigenze di flessibilità del sistema economico. A questo punto è una scelta politica difendere e far avanzare i diritti delle persone che lavorano in un contesto nuovo rispetto al passato, oppure scaricare su di loro i costi dei cambiamenti.

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