Superato felicemente il suo settantesimo anno di vita, la nostra Costituzione mostra appieno di essere in buona salute. Il percorso condotto fin qui, non è stato però privo di problemi. In primo luogo perché buona parte della nostra Costituzione deve trovare ancora un’applicazione nella realtà. Si potrebbe anche dire che questo è il destino di tutte le buone Costituzioni che anticipano di molto, con la lungimiranza dei loro principi, la capacità degli uomini di realizzarli. Ed è anche per questo che devono durare nel tempo. Ma nel caso italiano gli esempi di questa mancata implementazione sono davvero molti, anzi troppi. Cito solo un caso, tra i molti: quello relativo all’art. 41 che definisce i limiti della iniziativa economica privata ed impone alla legge di fare in modo che essa sia indirizzata a fini sociali. In realtà questo fondamentale principio non ha mai trovato una cornice legislativa entro la quale potesse venire interamente applicato. Al contrario le imprese hanno goduto degli interventi di sostegno da parte dello stato, nelle più svariate forme – il nostro è sempre stato un capitalismo assistito, e non solo nei periodi di crisi - senza che dovessero neppure offrire una garanzia e una contropartita sul terreno del bene comune.

In secondo luogo, da un certo momento in poi, si è venuta realizzando una costituzione materiale del paese - nei suoi rapporti sociali, economici ed anche istituzionali - che si è contrapposta alla Costituzione formale. Basta guardare alla prima parte della Carta costituzionale, quella che contiene i principi fondamentali. Cominciando dal primo comma del primo articolo si vede la distanza tra la norma e la realtà. L’Italia dovrebbe essere una Repubblica democratica fondata sul lavoro, ma entrambi questi due principi sono stati picconati ed erosi dall’offensiva neoliberista dagli anni ottanta in poi. Da un lato il lavoro è diventato una varabile totalmente dipendente dal capitale e dall’impresa. Il diritto del lavoro è stato ridotto alla stregua del diritto commerciale, come se le parti in causa avessero la stessa forza sociale nel fare valere i propri diritti. Il lavoro è stato frantumato, immiserito, privato di diritti, impoverito, precarizzato, costretto agli ultimi gradini dei valori nell’immaginario collettivo artatamente costruito su altri parametri, quali quelli del successo e della ricchezza individuali. Dall’altro lato la democrazia è diventata una crisalide vuota, con la crisi dei partiti e degli istituti intermedi della società voluti e realizzati dai vari disegni reazionari internazionali e interni.

In terzo luogo la nostra Costituzione ha dovuto subire degli attacchi diretti per stravolgerne anche formalmente le sue norme e i suoi principi. Non mi riferisco qui ai vari interventi di modifica parziale (come lo sciagurato pareggio di bilancio), alcuni dei quali anche positivi (fra cui l’eliminazione della pena di morte anche in caso di guerra). Ma soprattutto al disegno berlusconiano respinto nel 2006 e quello più recente della legge Renzi-Boschi affossata con il referendum del 4 dicembre 2016.

Non ha senso oggi celebrare il settantesimo della Costituzione, senza ricordare questi due passaggi essenziali. E purtroppo il Capo dello Stato, nel suo messaggio di fine anno, non lo ha fatto. Non è trionfalismo. Anzi bisogna ricordare che per quanto la netta maggioranza degli italiani abbiano largamente respinto quei due progetti di controriforma, la nostra Costituzione è tutt’altro che al sicuro. L’attacco può ripartire in forme ancora più pericolose. Molto dipende da quale sarà l’esito elettorale del 4 marzo. Un parlamento, che verrà eletto sulla base di una legge di dubbia costituzionalità, in mano alle destre darebbe via libera a un nuovo tentativo di deforma costituzionale. Molto dipende da quanto la difesa e l’applicazione integrale della Costituzione sarà presente nello stesso scontro elettorale.

Per questa ragione il Coordinamento per la Difesa della Democrazia Costituzionale ha lanciato una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare contro il pareggio di bilancio e per una legge elettorale proporzionale che permetta di scegliere effettivamente gli eletti. Le due iniziative, assieme a quella per cancellare le norme sulla scuola introdotte dal governo Renzi, partiranno nel prossimo febbraio e si dovranno concludere con il raggiungimento di almeno 50mila firme entro sei mesi. In questo modo rendiamo viva la Costituzione, confermiamo che il principio della rappresentanza venga rimesso in mano agli elettori e che sia possibile applicare l’articolo 3 Cost. senza dovere essere soggiogati al pareggio di bilancio imposto da regole europee che dobbiamo profondamente cambiare.

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