Il bel libro di Angelo D’Orsi “1917, l’anno della Rivoluzione” (pagine 268, euro 18, Laterza) ci offre una galleria di inediti per raccontare l’anno che cambierà la storia.

“La storia è una galleria di quadri dove ci sono pochi originali e molte copie”, lo scriveva Tocqueville due secoli fa. Da questo punto di vista il 1917 è uno di quegli anni, rarissimi, che forniscono molti dipinti originali, che faranno da modello per i quadri di tutto il secolo a venire. Il bel libro di Angelo D’Orsi “1917, l’anno della Rivoluzione” ci offre una galleria di inediti. Dodici tele, una per ciascun mese, per raccontare l’anno che cambierà la storia, l’anno in cui il Novecento si è fatto secolo, durante il quale sono stati piantati semi di alberi ancora esistenti.

Professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino, direttore delle riviste “Historia Magistra” e “Gramsciana”, D’Orsi accompagna il lettore - come Virgilio con Dante - attraverso una successione di eventi, tutti epocali, concentrati in appena 365 giorni.

Per molti di noi il 1917 è l’anno della rivoluzione bolscevica in Russia, con la presa del Palazzo d’Inverno, l’abdicazione dello zar Nicola II e la nascita dell’Unione sovietica. Nello stesso anno gli Usa fanno il loro ingresso nel conflitto mondiale. Mata Hari viene fucilata in Francia con l’accusa di essere una spia della Germania. Le truppe italiane ripiegano disordinatamente sul Piave in quella che passerà alla storia come la rotta di Caporetto. La dichiarazione Balfour (ministro degli esteri inglese) apre la strada alla futura creazione dello Stato di Israele.

Nei dodici capitoli del libro – appunto uno per ogni mese dell’anno – l’autore suggerisce riferimenti al presente, che per tanti versi ne ha raccolto l’eredità. Grazie a “1917, l’anno della Rivoluzione”, il lettore riscopre anche avvenimenti semi dimenticati, nonostante la loro portata storica. A febbraio viene promulgata in Messico la Costituzione, che introduce misure rivoluzionarie come la spartizione dei latifondi, e il divieto per la Chiesa di gestire scuole e di possedere immobili. In maggio, in un angolo sperduto del Portogallo, tre pastorelli vedono una signora vestita di bianco, e anche l’ombra della Madonna di Fatima si stenderà sul secolo a venire.

Ancora: il 6 luglio una milizia araba guidata dal capitano dell’esercito britannico Thomas Edward Lawrence - che passerà alla storia come Lawrence d’Arabia - conquista la città di Aqaba, aprendo la strada al dissolvimento dell’Impero Ottomano e all’influenza inglese nell’area mediorientale. La cosiddetta dichiarazione di Corfù getta le basi per la nascita della Jugoslavia. Mentre il capitolo dedicato al mese di novembre è occupato dalla rivoluzione bolscevica, “sconvolgimento nella geopolitica mondiale”. “Rivoluzione contro il capitale”, per Antonio Gramsci.

Il rapporto tra potere militare e politica è uno degli snodi fondamentali del libro. Il generale Cadorna è la quintessenza della criminale miopia delle gerarchie militari, pronte a scaricare sulle truppe le responsabilità di ogni sconfitta e di ogni arretramento. Rimarranno inascoltati l’appello di Treves alla Camera dei deputati e la successiva denuncia di Papa Benedetto XV contro “l’inutile strage”. La prima guerra mondiale fu anche la “madre del fascismo”. “La genesi del movimento va, in certo senso, retrodatata al 1917, al dopo-Caporetto e al dopo-rivoluzione bolscevica”. Perché il fascismo nasce come movimento rivoluzionario antibolscevico.

Il 1917 è anno cruciale, di svolta nel passaggio fra l’ancien régime ottocentesco e quello che sarà poi definito il secolo breve. Secondo D’Orsi, infatti, la Seconda guerra mondiale - evento pur tragicamente epocale - non provocò una discontinuità storica paragonabile a quanto accaduto fra il 1914 e il 1918. Non per caso la storiografia contemporanea oggi tende a rappresentare i due conflitti come un’unica ‘guerra dei trent’anni’.

Uno dei quadri appesi alla parete della storia è anche quello della ‘guerra giusta’: Sonnino, Balfour e Clemenceau sono solo alcuni fra i nomi più noti dei ministri degli esteri che s’incaricarono, su pressione dei comandanti dell’esercito, di reprimere duramente il cosiddetto fenomeno del “disfattismo”, nel segno di una giustezza del conflitto arrivato, ahi noi, fino ai giorni nostri.

Gli Usa fanno il loro ingresso nella storia europea in seguito all’affondamento della Lusitania, nave passeggeri silurata da un sottomarino tedesco con la morte di migliaia di civili, fra cui 130 statunitensi. L’intervento americano nel conflitto secondo l’autore contiene, in nuce, le radici dell’“esportazione della democrazia”, un’ideologizzazione della guerra non scalfita neppure dal grido di dolore del Papa.

Cento anni dopo, una figura di quel 1917 si staglia comunque sulle altre: sulla parete della storia rimane il ritratto di Vladimir Ilic Lenin, raccontato da John Reed in ‘presa diretta’, ricordato da D’Orsi con la lucidità dello storico ma anche la passione dello scrittore.

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