Una notizia locale che guarda all’intero paese. La magistratura contabile ha contestato alle Usl di Arezzo, Siena e Grosseto, riunite nella Asl Toscana Sud Est, di aver speso troppo per le prestazioni sanitarie erogate da operatori privati accreditati. Succede in una regione dove, per antiche (e meritorie) decisioni politiche, il servizio sanitario pubblico riusciva a tenere “in house”, in casa, le prestazioni mediche richieste dai cittadini. Ora non più, e addirittura la Corte dei Conti segnala un anomalo funzionamento della, pur complessa, macchina sanitaria di una delle tre “grandi Asl” toscane.

La politica sanitaria incide per quasi l’80% sul bilancio delle Regioni. Nell’arco di un decennio i pesanti tagli al comparto hanno progressivamente ridotto la capacità del pubblico ad assicurare risposte adeguate. In più l’aumento del costo dei ticket, specialmente nelle prestazioni ambulatoriali, ha portato un’ampia fascia della popolazione a ricorrere al privato. Che poi, a conti fatti, è pagato anch’esso dalla collettività. Ma si fa pagare troppo, denunciano i magistrati contabili.

Lo Stato spende ogni anno 4,6 miliardi di euro in rimborsi agli operatori privati in convenzione. Di questi, ha osservato Milena Gabanelli, se ne potrebbero risparmiare un paio, mantenendo comunque il doppio binario nell’erogazione delle prestazioni, ma con un corretto rapporto nelle spese.

Ma il vero problema, politico, è la mancata volontà degli ultimi cinque governi di investire nel servizio sanitario pubblico, per finanziare gli indispensabili aumenti di personale – medici e infermieri – e dei macchinari necessari a velocizzare i tempi di risposta alle richieste dei cittadini-pazienti. Sarebbe stato anche il modo migliore, riducendo il ricorso agli operatori privati, di finanziare convenzioni pagate a caro prezzo dai contribuenti, attraverso le loro denunce dei redditi. 

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