Con la raccolta del pomodoro alle porte è inevitabile tornare a parlare di caporalato. Lo hanno fatto anche i neoministri dell’Interno e delle Politiche agricole, Matteo Salvini e Gian Marco Centinaio, criticando la legge 199 di contrasto al lavoro nero.

Sono tre gli strumenti messi in campo dal passato governo contro lo sfruttamento dei lavoratori nel settore agricolo e contro il caporalato, grazie alla mobilitazione sindacale e della Flai Cgil in particolare. Per prima è arrivata la ‘Rete del lavoro agricolo di qualità’, introdotta nel 2014, poi un protocollo sperimentale, infine una legge. Il protocollo ha anticipato di qualche mese la legge 199 del 2016: sotto lo slogan “Cura, legalità e uscita dal ghetto” aveva avviato un percorso sperimentale per superare gli accampamenti di fortuna di lavoratori immigrati in Italia (i cosiddetti “ghetti”) attraverso politiche di accoglienza e integrazione, con la firma di ben tre ministri (Poletti, Alfano e Martina) e delle Regioni Calabria, Basilicata, Puglia, Campania e Sicilia.

Il protocollo è giunto a conclusione il 31 dicembre 2017 senza troppi clamori. “Potrà essere prorogato o riproposto, previa verifica dei risultati proposti”, cita l’articolo 7, ma ad oggi non c’è traccia né di verifiche, né di proroghe. In realtà, il protocollo nazionale è stato un fallimento. Di tutte le misure previste, come l’istituzione del tavolo di coordinamento e le modalità con le quali bisognava aprire un confronto tra ministeri competenti e le associazioni firmatarie, non è stato mai fatto nulla.

Il protocollo è stato firmato da Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil e anche da Acli, Caritas, Ispettorato nazionale del lavoro, Croce rossa italiana, Libera, Alleanza delle cooperative italiane, Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Copagri. La responsabilità del fallimento è in primis del ministero del Lavoro a cui era affidato il coordinamento.

Quel protocollo, però, ha prodotto ulteriori protocolli provinciali. Su iniziativa delle prefetture, non dappertutto, le misure previste dal protocollo nazionale sono state applicate a livello territoriale. E’ l’unico effetto positivo: una sensibilità e una risposta in alcuni territori, non in tutti. Anche in questi casi non si è andati oltre alla sottoscrizione dei protocolli. Sono poche, infatti, le esperienze nate. A Lecce è stato realizzato un campo di accoglienza, e a Campobello di Mazara (Trapani) è partita la prima sperimentazione sul collocamento pubblico, anche se Trapani era fuori dal protocollo nazionale. La Flai Cgil ha chiesto ai ministeri competenti di prorogarlo, ma ci è stato risposto che ormai c’era la legge 199 e non c’era più bisogno. In realtà non è proprio così, perché nel protocollo venivano indicate anche risorse da utilizzare per contrastare il caporalato, ed era calibrato su accoglienza e integrazione dei lavoratori immigrati presenti nel nostro paese.

La legge 199 tra qualche mese compie due anni, ma non ha ancora lasciato il segno. Sta producendo primi risultati da un punto di vista di operazioni di polizia: i primi arresti di caporali e imprenditori, e stanno per partire alcuni processi. Vale sempre la pena ricordare che essa prevede misure penali per tutti i cosiddetti imprenditori che sfruttano i lavoratori in tutti i settori produttivi, e non solo per quelli agricoli. Ma bisogna lavorare sulla seconda parte della legge, che prevede azioni positive, per prevenire questi fenomeni. C’è il rischio che anche quest’anno possa passare senza interventi concreti contro lo sfruttamento e il caporalato, al di là delle operazioni di polizia.

Non ci sono ancora strumenti che funzionano: non c’è un collocamento pubblico, non c’è un trasporto legale che possa fare in modo di non fermare l’attività delle imprese. E le forze dell’ordine, evidentemente, chiudono un occhio sui furgoni dei caporali che la mattina continuano a girare.

Nata come “organismo autonomo” per “rafforzare le iniziative di contrasto dei fenomeni di irregolarità e delle criticità che caratterizzano le condizioni di lavoro nel settore agricolo” la ‘Rete del lavoro agricolo di qualità’ doveva realizzare una sorta di argine contro lo sfruttamento con la partecipazione attiva delle aziende. A quasi tre anni dalla sua nascita, però, arranca ancora. Basta guardare ai numeri: le aziende che ad oggi sono entrate a far parte della Rete, istituita presso l’Inps, sono poco meno di 3.500 su una platea che supera le 100mila unità. La Rete del lavoro agricolo ha ancora oggi molti detrattori, come se si fossero messi alla finestra a guardare e aspettare il fallimento di questo esperimento, che invece potrebbe essere una grande opportunità anche per le imprese, per valorizzare l’agricoltura italiana.

Insomma si ripropongono le solite questioni nella lotta sindacale per garantire diritti e un lavoro dignitoso nelle campagne, per gli immigrati come per gli italiani. La Flai, anche con il suo sindacato di strada, è in prima fila per contrastare lo sfruttamento e il caporalato.

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