Nel cuore del dibattito le convenzioni bilaterali di previdenza sociale e gli accordi di partenariato economico Ue-Africa. 

Gorée, luogo di straordinario significato storico e simbolico. Ai tempi della tratta dei neri, fungeva da hub ante litteram per milioni di bambini, donne e uomini catturati in Africa Occidentale e destinati alle piantagioni delle Americhe. Qui, tuttora, c’è la “casa degli schiavi”, classificata patrimonio mondiale Unesco, le cui mura mantengono vivo il ricordo di quel orrore durato ben quattro secoli.

Sull’isola, per la settima volta consecutiva, si è svolto il tradizionale appuntamento formativo sulla mondialità e le migrazioni. Una scommessa della Flai, in sinergia con la Cgil e la Cnts, la maggiore confederazione sindacale senegalese. Obiettivo: catalizzare nuove consapevolezze rispetto alle sfide globali attuali, partendo dal tema delle migrazioni.

Dal 2 al 5 luglio scorsi, i partecipanti si sono cimentati con due temi di straordinaria valenza: da una parte la necessità di “allargare lo spettro” delle convenzioni bilaterali di previdenza sociale, e dall’altra gli Accordi di partenariato economico Ue-Africa. Al modulo sulle convenzioni in materia di previdenza sociale si è dedicata un’intera giornata, con la partecipazione di alti dirigenti degli enti senegalesi preposti, al cospetto dei vertici della Cnts. Una questione pregnante, che interessa un’ampia platea di lavoratrici e lavoratori extra Ue: basti solo osservare che, qualora decidessero di ritornare nel paese di origine, non trarrebbero alcun beneficio dai contributivi versati durante gli anni di lavoro in Italia. Se a ciò si aggiungono considerazioni peculiari come l’aspettativa di vita che, nel caso di chi viene dall’Africa, è stimata mediamente in 60 anni su scala continentale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, si misura appieno la straordinaria importanza della questione e la necessità di affrontarla.

Quanto agli Accordi di partenariato economico Ue-Africa, relatori ed esperti sono sembrati tutti concordi: le intese strette appaiono inique, e vengono percepite dalla società civile come il “bacio della morte” per le fragili economie africane. Sommariamente, gli Accordi di partenariato economico dovrebbero garantire l’accesso di merci provenienti dall’Africa nel mercato europeo senza quote né dazi doganali e viceversa. Sarebbe sufficiente tuttavia sottolineare che la formula negoziale in sé è apparsa problematica: inizialmente i negoziati avrebbero dovuto svolgersi tra l’Ue e le Comunità economiche regionali africane (Ovest, Est e Australe). Ed è proprio qui che sorge il primo punto dolente: di fronte alle reticenze di alcuni stati subsahariani, l’Ue si riposiziona strategicamente e imbocca la via degli “accordi separati” con i singoli stati.

Un riposizionamento tale da determinare l’esasperato disappunto della società civile, a cominciare dalle organizzazioni dei lavoratori, di fronte al rischio reale che i tessuti produttivi locali vengano spazzati via da una vastissima gamma di prodotti drogati dalle sovvenzioni comunitarie, quindi indubbiamente molto più competitivi rispetto alle produzioni nazionali, a cominciare proprio dai generi agroalimentari. Una strategia commerciale finalizzata all’omologazione nei consumi, resa ancor più chiara con la magistrale illustrazione di ipotesi di accordi consimili o compiuti in una dimensione extra-africana, come il Ttip o il Ceta, contro i quali un ampio fronte di mobilitazione si è formato in Italia e in Europa.

La finalità della Scuola estiva di Gorée è anche questa: favorire spazi di contaminazione tra Cgil, Flai e Cnts, per far prevalere le ragioni della democrazia e costruire nuove sinergie sindacali per far fronte alle sfide del nostro tempo. Una scommessa che sembra essere stata puntualmente raccolta da “Gorée atto VII”.

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