Le disuguaglianze nel lavoro assumono un peso crescente e rappresentano un evidente fattore di disagio per le persone e di rischio per lo sviluppo futuro. Si tratta di un grande tema economico e sociale che investe la vita di milioni di cittadini, generando paure, risentimenti, rabbia sociale e sfiducia nel domani.

La Fondazione Di Vittorio da tempo studia l’evoluzione del mercato del lavoro, la diffusione della precarietà e delle disparità di trattamento. In una ricerca recentemente pubblicata, ha aggiornato al primo semestre 2018 i dati sull’area del disagio, che raggiunge la nuova quota record di 4 milioni 883mila persone.

Secondo la statistica ufficiale, il numero di disoccupati, pur in diminuzione negli ultimi tre anni, è ancora molto alto: 2 milioni 904mila persone nel primo semestre 2018, circa il doppio che nello stesso periodo del 2007. Il tasso di disoccupazione è all’11,1%, con una flessione nell’ultimo anno soltanto dello 0,4%. Assieme alla disoccupazione percepita (2 milioni 371mila unità), raggiunge un totale di 5 milioni 275mila unità, pari a un tasso di disoccupazione del 18,7%.

In definitiva sono ancora piuttosto modesti gli effetti dell’uscita dalla recessione sulla disoccupazione, lasciando l’Italia indietro nel panorama europeo. La mancanza di lavoro genera disuguaglianza, ma le differenze sono rilevanti anche fra chi lavora, in un panorama segnato da precarietà e disagio in costante crescita.

Il part-time involontario (in mancanza di un lavoro a tempo pieno) ha ripreso a crescere nell’ultimo anno, coinvolgendo, nel primo semestre 2018, 2 milioni 772mila persone (+1 milione 611mila rispetto al primo semestre 2007, +138,8%), quasi due terzi (63,9%) del totale dei lavoratori a tempo parziale.

Il lavoro temporaneo non volontario (3 milioni e 61mila dipendenti o collaboratori che non hanno trovato un’occupazione stabile) ha conosciuto nel corso degli ultimi due anni un vero e proprio boom, con un incremento complessivo stimato in 553mila persone (+22,0%). Nel primo semestre 2018, i lavoratori temporanei non volontari sono 3 milioni e 61mila, il numero più alto mai registrato dalle statistiche Istat. Il peso sull’occupazione è passato dal 10,3% del primo semestre 2007 al 13,2% del primo semestre 2018. Se si considera solo la sola componente dipendente (escludendo cioè i collaboratori), il peso dei dipendenti temporanei involontari sul totale dei dipendenti è pari a 16,1%.

Quindi l’area del disagio – lavoratori temporanei non volontari e part-time involontari in età tra 15 e 64 anni – continua a crescere (+8,7%) raggiungendo, nel primo semestre 2018, il numero record di 4 milioni e 883mila persone. Il tasso di disagio, cioè il rapporto tra gli occupati nell’area del disagio e la totalità degli occupati in età 15-64 anni, è salito al 21,7% nel primo semestre 2018, con un forte incremento nell’ultimo anno (+1,6%). Se si considera solo la componente dipendente dell’area del disagio, la Fondazione osserva che il suo peso sul totale dipendenti di età 15-64 anni è pari a 25,1% (un dipendente su quattro in età da lavoro è nell’area del disagio).

Calcolato per regione, settore di attività e profilo anagrafico dei lavoratori, il tasso di disagio registra significativi scostamenti. Il disagio è maggiore nelle regioni meridionali rispetto al nord, con la Calabria in testa (27,8%) e la Lombardia in coda (17,8%); è più frequente nei settori alberghiero e ristorazione, servizi personali e agricoltura (sopra il 37%); è maggiore per le donne (28,9% contro il 16,3% degli uomini); è più alto nella fascia di età 15-34 anni (39,9%) e per gli stranieri (33,9% contro il 20,2% degli italiani). Più contenute le differenze per titolo di studio, con un tasso di disagio decrescente passando dalla licenza media al titolo universitario (prima della crisi il disagio era maggiore tra i laureati).

I dati della ricerca dimostrano che le disuguaglianze crescono, accelera il processo di precarizzazione, e peggiora la qualità del lavoro. Decisive, per invertire la rotta, saranno la sostenibilità dello sviluppo futuro e le scelte di governo e imprese. La debolezza della ripresa economica e il diffondersi delle disuguaglianze nel mondo del lavoro dipendono prevalentemente da scelte di crescita basate sulla competizione di costo e non sulla qualità di prodotto. Troppe imprese puntano ad innovazioni solo di tipo incrementale, basate sul risparmio, piuttosto che sull’utilizzo di tecnologie capaci di aumentare la produttività e alzare il livello della quantità e qualità del lavoro.

Dare risposte a questi lavoratori non riguarda solo la loro prospettiva di un futuro migliore, ma diventerebbe volano essenziale per far aumentare i consumi, qualificare la produzione, e accelerare lo sviluppo. Purtroppo, conclude la Fondazione Di Vittorio, i contenuti della legge di bilancio non vanno in questa direzione.

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