La clava sulla storia. Le “foibe” e il pareggio ideologico - di Andrea Bellucci

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La discussione sulle vicende del confine orientale non si è distinta per puntiglio storiografico e filologico, bensì per l’uso della clava. Il grande assente è il fascismo. 

Questo breve articolo non può riassumere, neppure sommariamente, la storia delle “foibe” per la quale si rimanda all’amplissima bibliografia. Indispensabile la lettura di J. Pirjevec, “Foibe. Una storia d’Italia”, Einaudi, 2009. Del resto la discussione sulle vicende del confine orientale non si è certo distinta per puntiglio storiografico e filologico ma, bensì, per l’uso della clava.

Bisogna partire dall’inizio, ovvero dalla legge 30 marzo 2004, numero 92, che ha istituito, a pochi giorni dal 27 gennaio, “Giorno della memoria” dedicato alle vittime nei campi nazisti (per un numero di vittime che oscilla fra i dieci e i diciassette milioni di persone) il “Giorno del ricordo”.

La legge fu votata a larghissima maggioranza, esclusa una ridottissima pattuglia della cosiddetta “sinistra radicale”, in quello che fu quasi un plebiscito. Va ricordato che quella legislatura vedeva un governo di centro-destra con a capo Berlusconi, lo stesso presidente del consiglio che la stampa cosiddetta “progressista” e i circoli intellettuali “riflessivi” (secondo una definizione dello storico Paul Ginsborg) attaccavano, in nome di una Italia “normale”, sul piano della “moralità privata”, sui costumi sessuali, sulle battute.

In questa vera e propria opera di “revisione” non si trovava niente di meglio che cedere alla narrazione fatta propria dai neo-fascisti su una questione, oltre che complicata e dolorosa, del tutto incistata nella storia d’Italia e, soprattutto, in quella del fascismo.

Ecco, il grande assente. Il fascismo. Quel regime ventennale che, tra molti consensi delle classi dominanti e dirigenti, della piccola e media borghesia e ampie fasce della popolazione, si fece protagonista di una politica aggressiva e poi imperialista. Purtroppo nella retorica italiana questo aspetto è spesso sottaciuto, non tanto per la diffusione del mito degli “Italiani brava gente” (vedi A. Del Boca, “Italiani brava gente?”, Beat, 2014) ma proprio nella cancellazione dell’Italia fascista come potenza aggreditrice.

Non si trattava quindi di porre un rimedio ad una “dimenticanza” verso il dramma dell’esodo e delle “foibe” (in realtà, la storiografia il problema lo ha affrontato, ma, evidentemente, non è questo il piano del discorso) ma di aggiungere un altro tassello ad una storia completamente falsata, in cui l’Italia fascista diventa una nazione di vittime, anziché di invasori, seppellendo la verità storica. Addirittura si è paragonata questa vicenda, che è comunque accadimento tutto inserito nel contesto della seconda guerra mondiale, al genocidio nazista, in un delirio di cifre il cui unico scopo è quello di pareggiare i conti (uccisi dai fascisti = uccisi dai comunisti) anche mescolando vicende diverse e svolte su piani temporali distanti (un caso esemplare è stata la recente puntata di “Passato e presente”, dove si sono messi insieme accadimenti del tutto diversi).

Del resto come dare torto ad una destra che non fa altro che portare avanti il proprio programma, supportata dagli stessi che avrebbero dovuto osteggiarlo? La “storia condivisa” appare quindi niente altro che l’accettazione del punto di vista dell’avversario, in un contesto in cui la storia non c’entra proprio nulla, perché proprio dal suo studio dovrebbe emergere che essa è fatta soprattutto di conflitti, di diversità, di tensioni, che solo se riconosciuti come tali possono essere utili alla crescita democratica. In caso contrario la loro negazione vedrà solo la vittoria “militare” di una parte rispetto all’altra.

 

E, come ha scritto recentemente Enzo Collotti su ‘il manifesto’, questo vittimismo impedisce una vera riappacificazione con le popolazioni di quei luoghi. Con buona pace della lotta ai “totalitarismi”, termine che, criticato in maniera serrata negli anni precedenti, è riemerso dalle macerie della guerra fredda. Un simulacro che serve solo a rendere più ardua la ricerca e impossibile l’analisi della realtà.

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