La Lega cambia il nome, ma non il vizio… - di Gian Marco Martignoni

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Giovanni Tizian e Stefano Vergine, Il Libro Nero della Lega, pagine 318, euro 18, Editori Laterza.  

Storicamente gli indici di lettura della carta stampata nel nostro paese sono sempre stati molto inferiori alla media europea. Ora, dopo la crisi economica e l’esplosione dei social network, il numero delle copie vendute si è praticamente dimezzato, con evidenti riflessi sulla formazione dell’opinione pubblica.

Nonostante questo quadro disarmante, i giornalisti che mantengono la schiena diritta sono più che invisi agli esponenti del governo giallo-verde, tanto che il pluralismo informativo rischia di essere azzerato. Segno che, quando i giornalisti fanno il loro mestiere, come nel caso delle inchieste promosse dal settimanale “L’Espresso” a proposito della Lega, il materiale che riescono a raccogliere è talmente probante che per la magistratura si aprono nuove piste di indagine.

Che la Lega avesse degli scheletri nell’armadio era noto, dopo la vicenda che ha investito nel 2012, per appropriazione indebita di denaro pubblico, Umberto Bossi, il tesoriere Francesco Belsito e i colletti bianchi legati ai clan della ‘ndrangheta. Ora, però l’ottimo ed esplosivo “Il Libro Nero della Lega”, in tre succosi capitoli, a cui è acclusa una sbalorditiva documentazione, affonda ulteriormente i colpi, evidenziando alcune rilevanti novità che, gradualmente, stanno diventando sempre più di dominio pubblico.

Se è vero che il 23 gennaio 2019 solo Belsito è stato condannato in appello - poiché Salvini ha scelto, per convenienze interne al partito, di non querelare Bossi e suo figlio - sui 48,9 milioni di rimborsi elettorali non dovuti, in quanto i bilanci presentati dalla Lega nel triennio 2008-2010 erano stati falsificati, sia Roberto Maroni che Salvini erano consapevoli che i soldi da restituire erano frutto di un reato. E li dovevano restituire perché, non avendo richiesto il risarcimento a Bossi e Belsito, automaticamente quest’onere è ricaduto sul partito.

Un partito che, nel frattempo, prima con Maroni e il suo cerchio magico si è ingegnato su dove dirottare il “tesoro padano”, anche attraverso operazioni speculative, mentre successivamente, nel 2015, ha deciso di sparpagliare i soldi nelle tredici realtà regionali a quel tempo costituite. Per poi, nel pieno dell’indagine giudiziaria, costituire un’associazione senza scopo di lucro, la “Più Voci”, che è diventata la porta girevole per incassare i finanziamenti privati, come quelli dell’immobiliarista romano Luca Parnasi - poi indagato per la falsificazione dei documenti contabili - o della catena di supermercati Esselunga. Sino alla nascita della “Lega per Salvini presidente”, in sostituzione della “Lega Nord per l’indipendenza della Padania”, con lo stesso leader e il medesimo tesoriere, Giulio Centemero, ma con un codice fiscale diverso.

Inoltre la propaganda sovranista sconta anche un’indagine per alcune società sospettate di riciclaggio con una holding, la Ivad Sarl, avente sede in Lussemburgo, oltre alla trattativa che in seguito agli incontri segreti di Salvini con il vicepremier Dmitry Kozak, delegato agli affari energetici, ha assicurato per il tramite di Gianluca Savoini tre milioni di euro per finanziare la campagna elettorale della Lega alle europee, mediante una partita di gasolio venduta dalla compagnia petrolifera Rosneft all’Eni con uno sconto del 6%.

D’altronde non è un mistero che l’Associazione Italia-Russia coltivi, all’insegna dell’intramontabile collante “Dio, patria, famiglia”, stretti rapporti con il filosofo Aleksandr Dugin, il teorico dell’Eurasia che tanto appassiona l’avvocato Andrea Mascetti, un ex-missino diventato in un battibaleno esperto di politica internazionale. Mentre la formazione che ha ispirato la svolta nazionalista di Salvini, ovvero il Front National, aveva ricevuto nel 2015 il prestito di nove milioni di euro tramite una banca controllata da Mosca. Infine, Andrea Mascetti è solo una delle tante figure, provenienti dalla destra, che la svolta estremista della Lega ha assorbito nelle sue file dirigenziali.

Il secondo capitolo del libro è appositamente dedicato alle varie casistiche del trasformismo italico e alla crescita sorprendente dei consensi in alcune regioni del sud, dove alcuni nuovi esponenti della Lega hanno strani rapporti con persone legate ai clan della ‘ndrangheta, con tutte le conseguenze sul piano dell’immagine pubblica. Il caso dell’emergente Armando Siri, ex craxiano, ideologo senza laurea della flat-tax e condannato, grazie ad un patteggiamento, per bancarotta fraudolenta nel 2014 (fallimento doloso e pilotato con i soci), è indicativo di come un faccendiere si possa muovere a suo agio quando la politica è scissa dall’etica, in una formazione che con una mano ostenta il Vangelo, mentre con l’altra istiga all’odio contro i migranti, i rom e quant’altro.

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