Cosa aspetta l’Italia a ratificare il trattato per l’abolizione delle armi nucleari? - di Sergio Bassoli

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Tre eventi straordinari accompagnano il percorso del Trattato per l’abolizione delle armi nucleari. Il primo, il più drammatico, già entrato nella storia ufficiale, è l’utilizzo dell’atomica, il 6 ed il 9 agosto 1945, quando gli Usa hanno sganciato due bombe su Hiroshima e Nagasaki, provocando oltre centomila morti, una superficie di oltre 12 km quadrati completamente rasa al suolo, radiazioni che hanno provocato la morte successiva di migliaia di persone, e malformazioni genetiche alle generazioni successive.

Gli altri due eventi, conseguenti al primo, sono invece di altro segno: il tenace impegno dei sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki, gli Hibakusha, che hanno dedicato la loro vita a testimoniare la tragedia provocata dall’utilizzo delle bombe nucleari; e la scelta di coraggio del colonnello sovietico Stanislav Petrov, che salvò il mondo nel 1983, scegliendo di fermare una risposta missilistica nucleare contro gli Usa, e che l’Onu ha voluto ricordare fissando in quella data, il 26 settembre, la Giornata Internazionale per la totale eliminazione delle armi nucleari.

Il percorso per arrivare alla discussione del Trattato ed alla sua approvazione da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite è stato possibile grazie ad una grande mobilitazione mondiale promossa e coordinata dalla “International Campaign to Abolish Nuclear Weapons” Ican, nata nel 2007 in Australia, a cui hanno aderito 468 organizzazioni di 101 Paesi, ed insignita, nel 2017, del Premio Nobel per la Pace.

Così che, il 7 luglio del 2017, grazie al voto favorevole di 122 Stati, l’Assemblea delle Nazioni Unite lo ha adottato, e ora serve raggiungere il numero di 50 ratifiche da parte di Stati membri per la sua entrata in vigore.

Ovviamente è un percorso in salita, visto che i cinque stati nucleari ufficiali, Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, pur essendo firmatari del Trattato di Non-Proliferazione (Npt), sono contrari alla abolizione delle armi nucleari, e hanno una forte influenza sui loro alleati. Per non dire degli altri quattro stati possessori “non ufficialmente dichiarati” di testate nucleari: India, Pakistan, Israele, Corea del Nord, neppure firmatari del Trattato Npt.

L’assurdità della situazione in cui ci troviamo balza agli immediatamente occhi se solo pensiamo che questi nove paesi hanno stoccato 16.300 armi atomiche, di cui il 93% appartenenti agli Stati Uniti e alla Russia, 4mila delle quali operative, mentre il resto è in attesa di smantellamento (dati Sipri).

L’impegno in risorse economiche, sicurezza e manutenzione di un simile apparato militare, sottratto ad investimenti per il lavoro e per la lotta alla povertà, e per ridurre le diseguaglianze, è enorme. Così come è enorme il rischio di un incidente, o di una decisione folle, che produrrebbe una tragedia le cui conseguenze non sono calcolabili.

Anche l’Italia, pur avendo aderito insieme a quasi tutti gli Stati del mondo al Trattato di Non Proliferazione, entrato in vigore nel 1970, si è unita agli Stati membri della Nato e ha rifiutato di aderire al nuovo Trattato. Anzi, nella Nato si sta discutendo e programmando l’ammodernamento e la sostituzione del vecchio arsenale atomico, compreso quello delle basi americane in territorio italiano.

Nella giornata internazionale del 26 settembre 2019, altri nove Stati hanno ratificato il Trattato. Occorre una nuova mobilitazione internazionale per fare pressione sui governi, affinché prevalga il senso di appartenenza all’umanità ed al pianeta, riconoscendo alla politica ed all’azione multilaterale rappresentata dall’Onu la soluzione dei conflitti, e non all’uso delle armi, men che meno di distruzione di massa.

In questo quadro, la Confederazione Internazionale dei Sindacati (Csi) ha ripreso l’iniziativa dell’Ican, chiedendo alle confederazioni affiliate di mobilitarsi e di esortare i propri governi a ratificare il trattato. Cgil, Cisl e Uil hanno risposto all’appello, inviando una lettera al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e al ministro degli Esteri e della Cooperazione, Luigi Di Maio, ricordando che “l’impegno per l’eliminazione della minaccia nucleare è d’altronde coerente con la nostra storia democratica e di impegno civile, che ci ha portato a firmare il trattato di Non Proliferazione delle Armi Nucleari nel 1975, quindi a costruire e ad approvare una legge importantissima come la legge 185 del 1990, che regolamenta la produzione e la vendita di armi ai paesi coinvolti nei conflitti armati e che non rispettano i diritti umani, grazie alla quale il governo ha potuto bloccare la vendita di armi all’Arabia Saudita, e successivamente, nel 1997, la firma del trattato sulla messa al bando delle mine anti-uomo”. Chiedendo quindi al governo di depositare la firma presso le Nazioni Unite e quindi ratificare il trattato “a conferma della tradizione di impegno per la pace e per il ripudio della guerra come soluzione dei conflitti, sanciti dalla nostra Costituzione”.

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