In Francia la mobilitazione mette in discussione i tabù dell’Unione europea, per affermare i diritti dei lavoratori - di Jean-Pierre Page

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I lavoratori che lottano dal 5 dicembre, con il sostegno della stragrande maggioranza della nostra gente, capiscono una cosa semplice: dovranno lavorare più a lungo e per pensioni ridotte. Questo è in contrasto con lo spirito stesso del nostro modello sociale, l’eredità di molte lotte sociali e politiche, il programma del Consiglio nazionale della Resistenza, e i passi in avanti progressivi dalla Liberazione, basati sulla solidarietà interprofessionale e intergenerazionale.

In effetti, con la loro cosiddetta “riforma”, il governo, Macron e la commissione Ue difendono un’altra scelta di società, consegnando i miliardi dei fondi pensione pubblici all’avidità delle compagnie assicurative e dei fondi privati, in particolare degli Stati Uniti. Considerata da Macron come “la madre delle battaglie”, la “riforma” è il pilastro principale della sua controrivoluzione liberale. Agire per il suo ritiro significa combattere tutti insieme per valori e principi, vivere con dignità e fare la scelta di una società non basata sull’arricchimento di finanziarie e oligarchi privilegiati.

La sensazione di ingiustizia che ispira questa “riforma” non è indifferente alla determinazione e combattività che caratterizza questa lotta, nella quale si ritrovano in una grande diversità molti giovani, ma anche, ad esempio, gli avvocati e il balletto dell’Opera. È molto positivo che l’azione collettiva trovi significato, aiuti a unificarsi sulla base di una forte convinzione: siamo tutti preoccupati, dobbiamo far ritirare questo progetto dannoso!

L’unità della lotta ha assunto una dimensione senza precedenti, che volta le spalle al corporativismo. Il settore privato si trova accanto al settore pubblico. Se viene segnalato principalmente il movimento di sciopero tra i lavoratori delle ferrovie, del Ratp o nel settore energetico, o tra i lavoratori ospedalieri o gli insegnanti, molte altre imprese e aziende sono coinvolte nello sciopero.

Siamo entrati in una nuova era di lotta di classe e contraddizione tra Capitale e Lavoro. Il capitalismo è la causa di queste politiche. Questa consapevolezza può progredire molto rapidamente, se ovviamente su questo punto viene condotta un’importante battaglia delle idee e non solo un’analisi delle conseguenze. Il processo che è stato aperto da alcuni anni e, in particolare, per oltre un anno con la battaglia dei gilet gialli, ha creato condizioni più favorevoli.

Resistere e ribellarsi rimangono quindi idee vive e attuali. Possono consentire un declino della rassegnazione e del fatalismo e un progresso significativo nel rapporto di forze tra il capitale e il mondo del lavoro. È inoltre importante il sostegno internazionale. La Francia non è l’unico paese in cui la gente dice di no al neoliberismo, come dimostra l’America Latina. Ma un importante paese capitalista che vede le persone mobilitate è pieno di significato: l’avversario ha paura che diventi contagioso e questo spiega l’uso massiccio della repressione. Marx affermava che la Francia è il paese in cui le lotte di classe vengono condotte fino alla fine. È ovviamente una fonte di ispirazione per molti lavoratori in tutto il mondo.

C’è un grande spirito combattivo che mette tutti di fronte alle proprie responsabilità, sindacati inclusi. In molti casi i sindacati e i lavoratori assumono decisioni di lotta indipendentemente dalle direzioni confederali o le rinnegano, come abbiamo visto nei confronti della Cfdt e dell’Unsa. Questa mobilitazione ha urgente bisogno di trovare uno sbocco politico. Questo è un grande handicap, che ostacola qualsiasi ricerca di alternative e prospettive.

Molti anni fa, i datori di lavoro affermavano che la Francia non avrebbe potuto avere la stessa politica in un paese con un’influenza comunista superiore al 20% e una Cgt attivamente presente nelle aziende. L’accettazione dell’ordine neoliberista o quello delle istituzioni europee, considerate un orizzonte insuperabile da molti sindacati e organizzazioni, ha contribuito ad alimentare le illusioni su un’Europa sociale.

La Cfdt è scesa in campo in conseguenza della determinazione del movimento di protesta. Le sue posizioni di “compromesso” sono amplificate dai media. La sua richiesta di una tregua per le vacanze di fine anno, anche se fallita, fa parte dell’intensa propaganda volta a screditare lo sciopero. L’adesione della Cfdt il 17 dicembre aveva obiettivi radicalmente diversi dal ritiro definitivo della riforma. Il governo punta a piccole concessioni che verrebbero incontro alle richieste della Cfdt. In questo modo Macron dimostrerebbe la sua capacità di ascolto mentre cerca di mettere al riparo l’intera politica pensionistica europea da questa ondata di mobilitazione, per isolare la frazione più combattiva degli operai in lotta e i settori della Cgt che difendono le posizioni di classe. È giunto il momento di trarre le conclusioni da tutti questi compromessi che minano la credibilità del sindacalismo e dell’azione collettiva.

(La versione integrale di questo articolo è comparsa su REDS, foglio di collegamento delle compagne e dei compagni di ‘Lavoro Società’ della Filcams Cgil, numero 1, gennaio 2020)

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