Cop25: un nuovo fallimento - di Simona Fabiani

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La 25esima Conferenza dell’Onu sul clima (Cop25), tenuta a Madrid lo scorso dicembre, si è chiusa con un totale fallimento. Ancora una volta hanno prevalso gli interessi delle multinazionali e delle istituzioni finanziarie che dominano questo sistema di sviluppo insostenibile, basato sull’estrattivismo e la mercificazione delle risorse naturali, che genera e accresce ingiustizie sociali, violazione dei diritti umani, disuguaglianze, conflitti, devastazione ambientale e emergenza climatica.

La politica ha deciso di non ascoltare gli appelli disperati degli scienziati, né le richieste delle mobilitazioni che nell’ultimo anno hanno inondato il pianeta con il movimento dei #FridaysForFuture che, nei giorni della Conferenza, ha portato oltre 500mila persone a marciare a Madrid per la giustizia climatica.

La presidenza della conferenza, mantenuta dal Cile nonostante la certificata violazione dei diritti umani e l’uso della violenza per reprimere le pacifiche proteste per i diritti e la giustizia sociale, non lasciava presagire niente di buono. Per rispondere all’emergenza climatica l’attuale sistema va radicalmente cambiato, e non potevamo aspettarci un ruolo di leader proprio dal governo del Cile, che questo sistema neoliberista continua a difendere con la repressione e la violenza.

Il tempo per il pianeta è già scaduto e si continua a rinviare le decisioni, aggravando gli effetti devastanti dell’emergenza climatica. Si continua a investire sulle fonti fossili, e il 2020 è addirittura cominciato con una nuova drammatica guerra per il controllo del petrolio.

Eppure gli esempi degli effetti distruttivi dell’emergenza climatica non mancano: dall’Australia con 10 milioni di ettari di terreno distrutti dagli incendi, 25 morti e 100mila sfollati, all’Indonesia con 53 morti e 200mila sfollati per le alluvioni. Nel 2019 nel continente africano 2,6 milioni di persone sono state costrette a migrare a causa di siccità e grandi piogge, conseguenti alla crisi climatica. Il nostro paese, come attesta il report Germanwatch, è sesto nel mondo negli ultimi 20 anni per eventi estremi.

L’ennesimo fallimento della conferenza Onu per il clima, proprio nel momento in cui il movimento per la giustizia climatica è forte e numeroso come non lo è mai stato, ci dice che dobbiamo intensificare ancora di più la lotta per la giustizia sociale e climatica, rafforzare le alleanze, praticare la contrattazione e la partecipazione ma anche il conflitto. Fra pochi giorni a Davos avrà inizio il Word Economic Forum, con l’impegno dichiarato di discutere di un progresso globale sui cambiamenti climatici.

Ormai non c’è contesto politico, economico e finanziario in cui l’emergenza climatica e la sostenibilità non siano in primo piano: grandi dichiarazioni per rifarsi una “verginità” verde, e piccoli interventi per dare l’impressione che le cose stiano cambiando. Ma non è così: ancora oggi gli Stati sovvenzionano l’industria dei combustibili fossili con 5.200 miliardi di dollari l’anno, il 6,3% del Pil mondiale. I consumi energetici sono cresciuti del 70% dal 1990 al 2018 e sono previsti in ulteriore crescita del 28% tra il 2015 e il 2040. I combustibili fossili (petrolio, gas e carbone) rappresentano l’85% dei consumi globali e le emissioni sono cresciute da 21 miliardi di tonnellate nel 1990 a 33 miliardi di tonnellate nel 2018.

Il nuovo corso della Commissione europea con il “Green Deal”, un primo provvedimento per un fondo europeo per la transizione di 7,5 miliardi, è un segnale positivo ma tutto da verificare.

La prossima conferenza Onu, la Cop26, si svolgerà a novembre a Glasgow in Scozia. L’Italia e il Regno Unito sono i paesi ospitanti. In particolare, il nostro paese ospiterà a ottobre a Milano la pre-Cop e un evento dedicato ai giovani. Ma non si presenta bene a questo appuntamento, almeno al momento, avendo un Piano nazionale integrato clima-energia con obiettivi più bassi rispetto ai target europei, che dovranno anche essere rivisti alla luce delle indicazioni della nuova Commissione, senza nessuno strumento per affrontare la giusta transizione dei lavoratori, e senza un percorso democratico e partecipativo.

Il ruolo della Cgil, anche in vista dell’appuntamento di Milano, può essere determinante. Dobbiamo continuare nel nostro impegno per il clima e per lo sviluppo sostenibile con forza e determinazione a tutti i livelli dell’organizzazione, realizzare la contrattazione per lo sviluppo sostenibile, fare assemblee e formazione. Dobbiamo far crescere, nei lavoratori e nei delegati, la consapevolezza degli effetti devastanti del cambiamento climatico e delle opportunità positive, di sviluppo e di occupazione, della transizione ecologica. La consapevolezza è la premessa indispensabile per creare una forte capacità di mobilitazione sindacale, e definire un ruolo da protagonista del sindacato nel movimento per la giustizia climatica, con l’obiettivo di realizzare il radicale cambiamento di sistema di cui c’è disperato bisogno.

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