Crisi Vibac, il nastro adesivo non sigilla la lotta - di Frida Nacinovich

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La vertenza Vibac è come le luci intermittenti di un albero di Natale, un giorno c’è speranza, il giorno dopo la paura, il buio. Lo stabilimento di Mercatale di Vinci, nel cuore dell’empolese valdelsa, potrebbe chiudere per sempre. Con il destino dei suoi centoventi lavoratori appeso al filo degli ammortizzatori sociali - che prima o poi finiscono - o di sempre problematici progetti di reindustrializzazione.

Si faceva nastro adesivo nella fabbrica, fin dal secolo scorso. E quando una decina di anni fa l’azienda originaria, la Syrom, era entrata in crisi, era arrivata la Vibac, gruppo leader nel settore del packaging adesivo, con la testa a Ticineto nell’alessandrino, altri tre stabilimenti in Italia (Termoli, L’Aquila e Potenza), e ancora uno aperto negli ultimi anni in Serbia, due in Canada e uno in Sudafrica. Insomma, una mini-multinazionale, a conduzione semifamiliare.

Negli ultimi due mesi le operaie e gli operai hanno dovuto subire una vera e propria doccia scozzese: prima lo stop al lavoro e lo spettro dei licenziamenti, poi il ripensamento della proprietà e l’inizio di una trattativa, dopo ancora di nuovo l’incubo di una chiusura definitiva. Alla Vibac si vive a nervi scoperti. “Uno dei problemi - racconta Vladimiro Spinelli, delegato sindacale, eletto nella Rsu sotto le bandiere della Filctem Cgil - è che il proprietario, Pietro Battista, è una sorta di uomo solo al comando. Hanno fatto girare la voce che la fabbrica non funziona, lavora in perdita, ma in realtà dei quattro stabilimenti italiani è il più competitivo. Non parliamo poi dei siti produttivi all’estero, quello in Serbia si è rivelato un flop”.

Fra tempi indeterminati, contratti a termine e lavoro interinale, la mini-multinazionale dei nastri adesivi rischia di lasciare a casa 130 persone. Già due anni fa si erano vissuti momenti difficili a Maercatale di Vinci, superati con il sacrificio di una quarantina di tute blu e la cassa integrazione per tutti gli altri addetti, con l’azienda che trasferiva parte della produzione in Serbia e negli altri stabilimenti italiani - seicento dipendenti solo lungo la penisola - per le maggiori agevolazioni che poteva ottenere. “Però la proprietà aveva rassicurato gli operai - continua Spinelli - L’obiettivo era quello di arrivare a una produzione più specializzata. Adesso invece ci viene detto che siamo in perdita rispetto agli altri, che il ramo malato va tagliato. I dati che abbiamo dicono tutt’altro. Voglio aggiungere che un piano di rilancio sarebbe conveniente per la stessa azienda, che già nel 2018 aveva investito due milioni per un ammodernamento purtroppo mai completato”.

Fin dall’inizio dell’anno i lavoratori Vibac presidiano i cancelli della loro fabbrica, ventiquattro ore su ventiquattro. “Siamo organizzati in turni di cinque/sei così da garantire una presenza continua. Anche chi non è di turno spesso passa. Ci troviamo a gestire una partita complicata. In attesa che le parti tornino al tavolo romano per trovare una soluzione, si stanno organizzando iniziative per tenera alta l’attenzione sul caso”. La società fiorentina organizzatrice di grandi concerti e spettacoli Prg ha regalato ai lavoratoti 200 biglietti per il concerto estivo di Gianna Nannini allo stadio Franchi, con la possibilità per una piccola delegazione di operai di incontrare la cantante. Quando finirà l’emergenza coronavirus, le ragioni di Vibac verranno anche cantate.

Gli enti locali si sono subito mobilitati, facendo pressing sul ministero dell’Economia per assicurare sia gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione) che un futuro lavorativo agli operai. Spinelli ricorda bene la lettera di avvio di procedura di mobilità arrivata il 16 gennaio scorso, fu uno choc, senza un incontro, senza un tavolo di trattativa, senza alcun avvertimento. “Da allora si sono seguite schiarite e improvvise marce indietro. È una situazione strana, variabile, potremmo dire che è come il cielo a novembre”.

Con l’Italia fermata dal virus si naviga a vista, un incontro al ministero è saltato, si sta pensando di organizzarne un altro, in teleconferenza. Spinelli ha già una lunga anzianità di servizio, ventidue anni passati fra le linee di produzione di nastri adesivi di ogni tipo. “Quando Syrom chiuse - ricorda il delegato sindacale - il problema non era certo la mancanza di commesse, sulle scrivanie c’erano ordini su ordini. E anche con Vibac, che subentrò, abbiamo continuato a lavorare bene. Ci sono stati anche periodi di ‘bassa’, ma sempre superabili, non certo tali da giustificare la chiusura”. In fabbrica l’età media è fra i quaranta e i cinquanta anni, operai specializzati in servizio da tempo, molti assunti all’epoca della Syrom. “In queste zone la produzione di nastro adesivo c’è sempre stata. Ti posso assicurare - saluta Vladimiro Spinelli - che non molleremo di un centimetro”. 

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