Coronavirus: quello che non possiamo dimenticare - di Giacinto Botti

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Usciremo dal tunnel dell’emergenza sanitaria. Verrà il momento della ricostruzione, della voglia di riprenderci la vita sociale, di voltare pagina, ma non dobbiamo e non possiamo scordare ciò che di grave è avvenuto. Nulla potrà tornare come prima.

Il re è nudo. L’estensione della pandemia, il numero dei morti, dei malati, dei contagiati, la mancanza di posti letto, di luoghi e strutture per la terapia intensiva, la mancanza, ancora dopo un mese, di ventilatori, di mascherine, di indumenti di protezione per i sanitari, per chi lavora e per i cittadini, segnano il fallimento della politica e della sanità pubblica. Molti contagi e molte morti, tante sofferenze erano evitabili.

Certo ora è il tempo dell’agire, della solidarietà umana, della coesione e della responsabilità sociale e civile, ma non della rimozione. Verrà il tempo dei bilanci, dei giudizi sull’operato e sulle azioni di ognuno, dal governo alle Regioni alla politica, dalle associazioni sociali di rappresentanza ai cittadini.

È la parte più debole della società, il mondo del lavoro dipendente a pagare il prezzo più alto. Errori, scelte sbagliate, tutti i nodi vengono al pettine, mentre i padroni anche nel tempo del coronavirus non si smentiscono. Paghiamo dazio per i tagli alla sanità pubblica, alla ricerca e all’università, al sistema dell’istruzione in generale, alla protezione civile e alla prevenzione. Stiamo pagando prezzi alti per scelte scellerate. Siamo di fronte a un fallimento certificato con responsabilità precise che non vanno rimosse né dimenticate come spesso accade. Siamo in guerra, disarmati, contro una pandemia prevista dagli scienziati ma messa sotto silenzio dalla logica di mercato e dalla presunta superiorità, dal senso di onnipotenza di chi governa il mondo e le nazioni con il potere e la finanza. Ci siamo trovati fragili e soli come persone e come collettività.

C’è anche in questa emergenza la necessità, come Cgil, di tenere insieme la lotta sociale, politica e valoriale; mai come in questo momento dobbiamo riconoscere, valorizzare, sostenere e ringraziare le delegate e i delegati, i Rls e i Rlst per la vicinanza con i lavoratori, per il difficile ruolo che stanno ricoprendo nei luoghi di lavoro nel garantire l’applicazione del protocollo e delle leggi per la difesa della salute e della vita di chi lavora.

Siamo in presenza di un fallimento che si percepisce nel vedere e sentire la sofferenza di chi perde i propri cari senza poterli salutare, nel sapere che ci si ammala e in molti casi si muore soli nelle case di riposo e negli ospedali. Nel sentire che oltre 5mila sanitari si sono ammalati e più di 60 medici sono deceduti mentre svolgevano il loro prezioso lavoro di assistenza e di cura per mancanza di protezioni adeguate. E allora basta con il mito usurato della nostra eccellenza sanitaria: la grande conquista sociale e la qualità del servizio sanitario pubblico italiano non esistono più da tempo, scelte sconsiderate e irresponsabili della politica tutta, che ha privilegiato il privato, il mercato e mercificato il diritto alla salute, lo hanno saccheggiato, svilito, indebolito, svalorizzato.

L’unica eccellenza è costituita dalle donne e dagli uomini impegnati nelle strutture sanitarie e nella società a salvare vite o ad accompagnare alla morte persone sole, a garantire aiuti e solidarietà a chi sta soffrendo, a chi è privo di garanzie e vive in povertà e ai margini della società. Quante lotte, manifestazioni e mobilitazioni abbiamo fatto come Cgil, come categorie in particolare del pubblico impiego, dei pensionati, per la difesa e lo sviluppo del sistema sanitario pubblico e di un diffuso sistema di protezione sociale per i settori più deboli della società? Non siamo stati ascoltati e non abbiamo avuto risposte, né abbiamo visto misure adeguate.

Come paese ci siamo trovati impreparati e siamo arrivati tardi, senza un piano per l’emergenza, senza capacità tecnologica adeguata, senza la disponibilità di laboratori e di personale tecnico scientifico, con strutture ospedaliere pubbliche inadeguate che sono divenute in alcuni casi luoghi di contagio e di morte.

Senza responsabilità sociale del padronato italiano e di Confindustria. Le aziende, i settori non di certo essenziali lasciati aperti in queste settimane sono luoghi di contagio sociale per la presenza di milioni di lavoratrici e di lavoratori costretti a presentarsi negli uffici e nelle fabbriche spesso senza nessuna protezione e garanzia per la propria salute. Anche nella tragedia, nell’emergenza sanitaria, nell’immane sofferenza di tanti la razza padrona non si smentisce, anteponendo il profitto, l’economia alla vita delle persone, alla salute pubblica e considerando le lavoratrici e i lavoratori carne da macello. Insopportabili e vergognosi sono i richiami di una Confindustria che mette cinicamente al primo posto non la salute e la sicurezza ma l’ipotetica perdita di 100 miliardi di Pil ogni mese, o meglio la perdita dei loro profitti e delle commesse.

Dobbiamo dirlo con forza, la mancata chiusura totale per il tempo necessario delle aziende, delle produzioni, della distribuzione, dei servizi commerciali non essenziali ha favorito lo sviluppo dell’epidemia, dei contagi e delle morti. Essenziale vuol dire essenziale, ed è colpevole inventare filiere inesistenti per lasciare aperti centinaia di luoghi di lavoro rispondendo a meschini interessi particolari. Ci sono cose che non dovranno essere dimenticate.

L’emergenza primaria è quella sanitaria e sociale, poi quella economica, che andrà affrontata mettendo al centro un’idea di sviluppo e di bene pubblico diversa dal passato. Il futuro del paese, insieme a quello dell’Europa, va ripensato e costruito su basi e valori radicalmente alternativi, mettendo in soffitta il liberismo, la centralità del mercato e del profitto, superando il capitalismo rapace con la lotta di classe e un progetto con lo sguardo rivolto oltre il proprio ombelico sovranista.

Non ci arrendiamo. Questa emergenza sanitaria e sociale sarà una dura e sofferta lezione. Ne usciremo provati socialmente ed emotivamente, come persone e come militanti della Cgil, ma penso anche più consapevoli, più determinati, più forti e uniti nel continuare nel nostro impegno di sempre.

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