Scuola: gli effetti collaterali dell’emergenza epidemiologica - di Raffaele Miglietta

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Alcune conseguenze su didattica, lavoro e relazioni sindacali.

Il diffondersi dell’epidemia da coronavirus e il conseguente blocco di tutte le attività su scala nazionale ha determinato non poche conseguenze sul funzionamento del sistema scolastico, alcune davvero ammirevoli, altre molto meno.

È stata sicuramente positiva e meritevole la reazione e lo sforzo di tutto il personale scolastico per dare continuità al servizio e riuscire a garantire, seppur a scuole chiuse, il diritto all’istruzione di alunni e studenti. Per quanto riguarda l’attività didattica si è passati dalle lezioni in presenza a quelle a distanza, ovvero a lezioni effettuate da casa con l’ausilio di strumentazioni digitali.

Le scuole si son tuffate con coraggio in questa nuova esperienza anche se molte di loro erano del tutto impreparate a questa novità. Pensare di passare repentinamente alla scuola digitale di massa è risultato complicato, considerato che fino a pochi giorni fa i genitori erano costretti a fare la colletta per comprare la carta igienica per i propri figli, visto che le scuole ne erano prive. Ma il problema più grave è il fatto che molti alunni, specie quelli meno abbienti, non hanno la strumentazione necessaria per accedere alle attività a distanza (connessione alla rete, tablet, pc, ecc.).

Come ha reso noto di recente l’Istat, ben il 33,8% delle famiglie in Italia non ha un computer o tablet a casa, e questa percentuale supera il 41% nel Mezzogiorno. Appare evidente, allora, che larga parte della popolazione scolastica non è in condizione di avvalersi della didattica a distanza. Ciò comporta che la parte più debole degli alunni, quella che avrebbe più bisogno di interventi didattici, rischia di essere tagliata fuori da qualsiasi attività. E lo strumento apparentemente più innovativo, come la didattica a distanza, rischia di diventare un modo per accentuare le diseguaglianze tra gli alunni piuttosto che risolverle.

È vero che con il decreto “Cura Italia” sono stati stanziati appositi finanziamenti per dotare di mezzi chi ne è sprovvisto, senonché le risorse non sono sufficienti a rispondere ai bisogni così diffusi in larga parte del paese. Ne consegue l’urgenza di invertire le politiche di finanziamento dell’istruzione, che vede l’Italia tra le ultime in Europa per spesa percentuale in rapporto al Pil. Ma piuttosto che nella didattica a distanza gli investimenti necessiterebbero nella didattica in presenza, ovvero in edifici scolastici, aule, organici, tempo scuola, ecc., il modo più sicuro per recuperare effettivamente gli alunni svantaggiati.

Un’altra conseguenza dello stato di emergenza è stato il blocco di tutte le relazioni tra sindacato e amministrazione scolastica, avendo quest’ultima escluso ogni modalità di confronto e condivisione riguardo le decisioni che andava assumendo. Il ministero dell’Istruzione è intervenuto ripetutamente e in modo prescrittivo, ad esempio sulla didattica a distanza, materia che non è disciplinata né dalle norme né dal contratto, disponendo discrezionalmente non solo rispetto alla prestazione lavorativa, che avrebbe dovuto essere oggetto di relazione sindacale, ma perfino riguardo l’azione didattica, che rientra nell’ambito esclusivo della libertà di insegnamento.

Inoltre ha provveduto unilateralmente su materie esplicitamente oggetto di contrattazione: sulla mobilità del personale, a cui sono interessati migliaia di docenti e lavoratori Ata, stabilendo una tempistica del tutto incompatibile con la chiusura degli uffici scolastici stante il protrarsi dell’emergenza; in materia di formazione del personale, fissando autonomamente i criteri di riparto dei finanziamenti alle scuole stanziati con il decreto “Cura Italia”. In coerenza con tutto ciò il decreto legge sulla scuola, approvato alcuni giorni fa, ha attribuito amplissimi poteri al ministero per intervenire su tutti gli adempimenti di fine anno scolastico (esami di Stato, ecc.).

Insomma sembrerebbe che in alcuni ambienti ministeriali si stia interpretando lo stato di emergenza come occasione per comprimere qualsiasi istanza di partecipazione e condivisione, e per tentare di disciplinare il sistema scolastico pubblico ritenuto troppo democratico. Sfugge che la scuola è una comunità che priva di democrazia soffoca, ma ancor più sfugge che da una crisi epocale come quella che stiamo attraversando, non solo il sistema scolastico ma l’intero paese ne potrà uscire non con più autoritarismo ma con maggiore partecipazione e democrazia. Sarà compito del sindacato, e in particolare della Cgil, far comprendere questo messaggio laddove si continui ad ignorarlo.

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