Unione Europea: prima di toccare il fondo - di Roberto Musacchio

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Il gioco di parole è per stemperare una situazione che di suo sarebbe in realtà drammatica. Un’epidemia ancora non vinta e che forse ritornerà. Una economia così a pezzi come mai dopo la guerra. Cosa fanno i “leader” europei? Si inventano un gioco di fondi che sembrano delle scatole cinesi. Un fondo, due, tre, quattro e non è chiaro cosa e perché una tale babele. Anche perché queste riunioni istituzionali europee hanno una trasparenza che ricorda il Pcus. E all’uscita di quest’ultimo Consiglio europeo (23 aprile) si sa che arriverà una proposta entro un’altra data, che dunque non è oggi.

Dai resoconti degli eroici cronisti cerchi di ricostruire quello che è difficile capire dai politici. In particolare da quelli italiani divisi tra chi ha la fissa del Mes e chi canta le lodi del Recovery. Tra le righe di stampa spunta poi che fra le “condizionalità” ci potrebbe essere un po’ di tutto, vista la frase attribuita a Von der Leyen che servono riforme e competitività. Ora, sempre per stare nell’ironico (si spera), si può pensare, visti i precedenti, che si chiederà di andare in pensione a 70 anni mentre è vietato uscire di casa a 60.

Cercando di vederla più seriamente la questione sta tutta nel manico. Il manico si chiama Maastricht e cioè una costruzione non solo liberista ma assurda. La Ue è l’unica unione politica al mondo che esclude per trattato di fare politica. Cosa è fare politica? Condividere in democrazia una casa comune. Soprattutto quando questa casa comune deve affrontare un terremoto che non colpisce un appartamento o una stanza ma le fondamenta.

L’Italia, che pure è di per sé abbastanza malmessa, affronta il virus dalla Lombardia alla Calabria allo stesso modo (più o meno, visti i guasti del federalismo che ha sfasciato il regionalismo). La Ue no. Ognuno per sé e con un’architettura bizantina. Che parte dalla prima assurdità che ha una moneta comune solo a parole. Sì, perché una moneta, cioè l’euro, con gli spread tra i vari paesi che la usano, è un unicum. Come se tra Lombardia e Piemonte ci fosse lo spread perché la stessa moneta ha valori e costi diversi a partire dal mercato finanziario.

Il no agli eurobond non è un no alla condivisione del debito, ma è la volontà di mantenere gli spread come strumento di concorrenza e di rendere il debito un vincolo esterno. Due cose assurde in una unione politica. Da questo peccato originario, che poi è la sostanza dell’ordoliberismo, discende il caos odierno.

Ma come fa un assetto così a reggere l’impatto di una crisi mai vista? Che significa sospendere il Patto di Stabilità quando debiti e deficit esploderanno in un quadro di recessione che va dalla Cina alla Germania (sempre spaventata dall’inflazione e ora di fronte a tutt’altro)? Si pensa di riattivarlo? Ecco le scatole cinesi. Un Mes dove l’Italia dovrebbe completare la sua quota di versamento, ferma a 17 miliardi, per portarla ai 140 previsti per avere un prestito di 36, non si capisce come giustificati dato che le spese vive sanitarie da rendicontare sono di 6/7 miliardi. E che, per Trattato unico sul funzionamento della Ue, è condizionato.

Poi un Sure che ha pochissimo denaro liquido e deve acquisire sul mercato prestiti a carico degli Stati. Idem la Banca europea degli investimenti (Bei). Resta il Recovery, che infatti è il vero pomo della discordia. Normalità vorrebbe che fosse un fondo della Bce. Oppure, come da proposta spagnola, un fondo di titoli perenni a carico della Commissione europea, che ha la figura giuridica per farli. Sarà così

Dal Consiglio non si può essere ottimisti. Le scatole cinesi si ingarbugliano tra Recovery e bilancio poliennale. Ursula Von der Leyen farà una proposta, ma a lei si attribuisce la frase sulla “condizionalità” che fa venire i brividi. Il punto è che continuano a parlare di debiti e solidarietà, ma una unione politica è economia solidale strutturata. Lo diventerà l’Unione europea prima di toccare il fondo?

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