La rivolta dei rider di fronte al pericolo coronavirus - Gabriella Del Rosso

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Torna prepotentemente di attualità la tematica delle tutele da accordare ai rider che provvedono alle consegne a domicilio, tanto più richieste in questo momento di blocco delle attività causa pandemia. E’ in particolare sorto il tema dei dispositivi di sicurezza (mascherine, guanti, prodotti igienizzanti) che i lavoratori hanno richiesto ai datori di lavoro senza ottenerli. Si è così aperto un contenzioso giudiziale promosso dalla Cgil in via d’urgenza (trattabile anche se le attività dei tribunali sono sospese), cui ha fatto seguito un primo decreto del Tribunale di Firenze (1/4/2020, giudice Gualano) e un secondo del Tribunale di Bologna (14/4/2020 giudice Zompi) entrambi di accoglimento delle domande dei lavoratori. I giudici hanno ordinato all’azienda di fornire ai rider i dpi richiesti.

La motivazione del decreto del giudice fiorentino richiama l’art.2 D.lgs 81/2015, (modificato dal DL 101/2019) e si limita ad applicare l’art.47/bis. Secondo il quale “al fine di promuovere un’occupazione sicura e dignitosa, e nella prospettiva di accrescere e riordinare i livelli di tutela per i prestatori occupati con rapporti di lavoro non subordinato, le disposizioni del presente Capo stabiliscono livelli minimi di tutela per i lavoratori impiegati nelle attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore (…) attraverso piattaforme anche digitali”.

Tra i livelli minimi di tutela, precisa il giudice fiorentino, l’art.47-septies prevede che il committente che utilizzi la piattaforma digitale sia tenuto “nei confronti dei lavoratori di cui al comma 1, a propria cura e spese, al rispetto del D.lgs 81/2008” (TU sicurezza sul lavoro). Ne consegue l’obbligo di fornire al lavoratore i dpi, resi indispensabili dall’emergenza coronavirus.

Più articolata è la motivazione del Tribunale di Bologna, che tiene conto anche e soprattutto della recentissima sentenza della Corte di Cassazione 1663 del 24/1/2020. Infatti, mentre il decreto del Tribunale di Firenze aderisce alla tesi che quello dei rider sia un terzo genere di rapporto di lavoro, ibrido tra lavoro autonomo e subordinato, la giudice di Bologna, pur nei limiti motivazionali di un decreto in via di urgenza (cui deve seguire un procedimento di merito) affronta la tematica della natura del rapporto quale delineata dalla sentenza della Cassazione. Che, riformando la sentenza 26/2019 della Corte di Appello di Torino, ha ritenuto che al rapporto di lavoro dei rider debba applicarsi, operando una valutazione delle modalità con le quali in concreto si svolge la prestazione, un’estensione generalizzata della disciplina del rapporto di lavoro subordinato. E non optare per un’applicazione selettiva della normativa, limitata alle disposizioni su sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita, limiti di orario, ferie, previdenza, come invece riteneva la Corte di Appello di Torino, pur operando un salto di qualità rispetto alla sentenza di primo grado che affermava la natura autonoma del rapporto.

Da tali presupposti il decreto della giudice bolognese trae la conseguenza che “non pare oggi potersi dubitare della necessità di estendere anche a tali lavoratori, a prescindere dal nomen juris utilizzato dalle parti nel contratto di lavoro, l’intera disciplina della subordinazione e, in particolare, (…), la disciplina in tema di tutela delle condizioni di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, fra cui rientrano tutte le norme che prevedono a carico del datore di lavoro l’obbligo di continua fornitura dei Dispositivi di protezione individuale”.

La diversa impostazione dei due decreti denota come il dibattito giurisprudenziale e dottrinario sulla natura giuridica del lavoro atipico di coloro che operano in base a piattaforme digitali sia ben lontano una definizione univoca, cosicché rimane ancora da esplorare il caposaldo della disciplina applicabile in caso di recesso del committente.

La sentenza della Cassazione citata non si esprime espressamente, in quanto – e la Corte lo sottolinea – i lavoratori non hanno impugnato la parte della sentenza della Corte di Appello di Torino che ha escluso l’applicabilità delle tutele per il licenziamento, pure richieste nei giudizi di merito. Ma nel momento in cui la Cassazione afferma che “quando l’etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato”, non si può prescindere dall’applicazione anche della tutela in caso di recesso illecito o illegittimo. Allo stato attuale, non mi consta vi siano state decisioni di merito su questo punto fondamentale, ma, aperta la strada dell’inquadramento giuridico come lavoro subordinato, è sostenibile, a mio avviso, che l’equiparazione sostenuta dalla Cassazione comprenda anche le tutele approntate per il recesso.

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