Firenze, uscire dall’emergenza con un diverso modello di sviluppo - di Gianluca Lacoppola

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A due mesi dall’inizio della pandemia fare un punto esaustivo su quel che successo, e soprattutto su quello che sarà, è complicato. Guardando alla crisi sanitaria, due elementi saltano agli occhi: quanto sia stato miope aver indebolito il Servizio sanitario nazionale e favorito il diffondersi del privato nella sanità, e l’inefficienza del nuovo impianto del titolo V della Costituzione sulle autonomie locali e le materie concorrenti.

La pandemia ha reso evidente quanto siano importanti i presidi diffusi sul territorio, che permettono la prevenzione o almeno di intercettare sul nascere la malattia. L’ospedalizzazione ha d’altro canto messo in evidenza tutti i suoi limiti. Sul piano istituzionale la competizione Stato-Regione ha creato confusioni e problemi, le materie concorrenti semplicemente non funzionano. A questo vorrei aggiungere un altro elemento di discussione: l’abolizione del processo democratico nella costituzione delle Province, e il loro smantellamento di fatto, ha pesato non poco. La Città metropolitana semplicemente è inesistente, e per la gestione del territorio la Regione è un livello troppo ampio e il Comune un livello troppo specifico.

Venendo al piano economico fiorentino, molte ombre si addensano all’orizzonte. Il blocco dei licenziamenti ha arginato processi che però sembrano pronti a partire, ed è quindi indispensabile prolungarlo oltre le date ad oggi indicate. Come Cgil, insieme agli altri sindacati, abbiamo fatto un enorme lavoro durante l’emergenza per tutelare la salute nei luoghi di lavoro, per costruire le condizioni migliori per gli ammortizzatori sociali, per dare risposte e rappresentanza in una situazione surreale di impossibilità di incontrare di persona i lavoratori.

Abbiamo anche provato a immaginare un modello di sviluppo diverso, e su quello imposteremo le nostre azioni future. Firenze, nel corso degli anni, si è sempre più piegata ad una monocoltura turistica. Già da anni denunciamo che un simile modello non sarebbe stato a lungo sostenibile per chi abita la città e per chi vi lavora, troppo spesso in condizione di lavoro povero e lavoro nero.

Il turismo deve tornare ad essere una leva economica importante, oggi possiamo ipotizzare diverse linee di sviluppo: riduzione dello sfruttamento intensivo turistico (il cosiddetto ‘mordi e fuggi’ indotto dai grandi tour operator internazionali), e sostegno a chi visita la città per periodi più lunghi; riduzione della pressione sul centro storico, e sostegno alla diffusione turistica sull’intera area metropolitana; lotta vera alla rendita e all’illegalità.

Per questo proponiamo tre interventi: a partire dalla trasformazione produttiva del centro storico per ospitarvi attività diversificate legate anche all’innovazione tecnologica e l’hi-tech, e nuova residenza. È evidente che il numero di bar, ristoranti e alberghi è eccessivo per una diversa presenza turistica. Il pubblico deve per questo favorire una riconversione, anche sostenendo la formazione per chi vuole aprire attività economica e per i lavoratori. Decisa riconversione degli affitti turistici per sostenere la residenza e la presenza produttiva in centro: riportare abitanti, studenti, artisti e lavoratori. In questo tessuto vivo potremmo davvero accogliere i turisti nel modo migliore, senza offrire loro un parco giochi finto e patetico come abbiamo fatto nel recente passato. Serve poi sostenere le attività che garantiscono (e sono disposte a dimostrarlo) lavoro regolare e giustamente retribuito. Siamo contrari a sostegni a pioggia. Il pubblico deve invece direzionarli a chi mostra attenzione verso il lavoro e le sue regole.

L’area fiorentina ha anche importanti distretti industriali e agroalimentari. Anche qui le sofferenze sono tante. In particolare nel settore moda, vera locomotiva industriale a Firenze. Qui ripartenza e ripresa non coincidono, soprattutto perché è un settore fortemente influenzato dal mercato estero, che per il momento fatica a ripartire.

Servirà dare particolare attenzione e rappresentanza anche a tutti coloro che stanno soffrendo le conseguenze più dure: gli stagionali e i tempi determinati, che quest’anno non troveranno lavoro, i precari espulsi dal mercato del lavoro, i lavoratori autonomi senza alcuna entrata (si pensi, solo per fare un esempio, alle guide turistiche o ai lavoratori dello spettacolo). A tutti loro servirà offrire sostegno economico immediato e una prospettiva di lavoro.

Non possiamo lasciare al mercato la libertà di allocare le risorse dove i profitti spingono. Servono investimenti pubblici e la forza di dare un indirizzo pubblico all’economia. La Cgil sta già lavorando per questo, senza riproporre forme di concertazione fuori dal tempo, ma attraverso la rappresentanza del lavoro, il conflitto e gli accordi.

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