Israele-Palestina. L’annessione del primo luglio: tanto rumore per nulla? - di Alessandra Mecozzi

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Nelle manifestazioni del 27 giugno nelle città italiane molto attiva una nuova generazione di giovani palestinesi in Italia. 

Il 27 giugno in Italia ci sono state, per la prima volta dopo anni, manifestazioni indette dalle comunità palestinesi in molte città contro l’annessione israeliana di parte della Cisgiordania occupata. Le adesioni dalla società civile, dalle organizzazioni e associazioni italiane sono state numerose, anche se non sempre con una partecipazione conseguente.

Molto attiva una nuova generazione, i giovani palestinesi in Italia, che hanno organizzato, partecipato, parlato nelle piazze. Un fatto nuovo, da considerare un passo verso la ripresa di iniziativa anche nel nostro Paese, e la ricerca di un cambio di prospettiva. Nuova generazione con una propria soggettività, figlia della diaspora, che spesso non conosce i suoi coetanei in Palestina, ma sente con forza il legame con la propria terra.

Dire no all’annessione per questi giovani significa dire no all’occupazione e no all’apartheid, esigere libertà e giustizia, volere la propria terra, non qualche frammento sotto controllo israeliano, (lo Stato Palestinese?) prolungando la condizione di oppressione dei propri genitori.

Il primo luglio, data annunciata come inizio dell’annessione israeliana della Valle del Giordano, è trascorsa senza che nulla accadesse. Molto rumore per nulla? Molti attribuiranno questo stop alle tante espressioni di condanna, in alcuni casi con la richiesta di sanzioni. Le tante condanne e denunce di violazione del diritto internazionale, emesse dalle Nazioni Unite, dall’Europa, dalle associazioni e dalle grandi confederazioni sindacali internazionali, hanno creato una situazione più complicata sul piano internazionale, a cui sul piano interno si è aggiunta la ripresa della pandemia in Israele, e l’enorme aumento della disoccupazione con la crisi sociale conseguente.

Secondo fonti israeliane bene informate (come il quotidiano Haaretz), il piano israeliano di annessione nella realtà non era definito: non c’era un calendario, non c’era una mappa, insomma la proclamazione del primo luglio sembra essere stata più una mossa elettorale per catturare i voti dell’estrema destra, e distogliere l’attenzione dai procedimenti giudiziari per corruzione e frode pendenti sul capo del primo ministro in carica.

A questo c’è da aggiungere il calo verticale nella corsa elettorale di Trump. Il suo concorrente Biden, in ripresa, si è dichiarato contrario all’annessione, pur prendendo le distanze dalla richiesta fatta al segretario di Stato Pompeo, dalla sinistra democratica del congresso, di tagliare fondi per il militare ad Israele. Man mano che le elezioni si avvicinano, se il trend ascendente di Biden si confermerà, le prospettive di annessione, si allontaneranno. Tutto bene quindi? No.

Adesso c’è da chiedersi se sulle dure condanne della violazione del diritto internazionale fatte da tante autorità internazionali si richiuderanno le acque, e si instaurerà un nuovo lungo periodo di silenzio. Come molti palestinesi sostengono, l’annessione e l’apartheid esistono sul terreno già da anni, con centinaia di colonie cresciute dopo gli accordi di Oslo, la distruzione di case e agricoltura, il trasferimento forzoso di centinaia di famiglie, per non parlare delle uccisioni di cittadini inermi e delle migliaia di prigionieri politici, inclusi tanti bambini. E che dire delle 65 norme legislative discriminatorie verso i cittadini arabi di Israele? Insomma “la catastrofe del diritto internazionale” esiste già, non è l’annessione che la provocherebbe.

La ripresa di discussione e di movimento, la luce gettata sulle pratiche di violazione del diritto internazionale e del diritto umanitario da parte di Israele, dovrebbero spingere chi ha, a gran voce, condannato l’annessione, a pensare e agire in modo non ipocrita, perché l’ambizione di Netanyahu a estendere la sua sovranità non è spenta.

Per fortuna nuovi soggetti hanno occupato la scena, dando nuova speranza: le palestinesi e i palestinesi di Israele, le figlie e i figli della diaspora, le ragazze che in Palestina manifestano contro la violenza israeliana e quella patriarcale, e perfino quegli adolescenti israeliani che hanno scritto al governo di bloccare l’annessione, e che si rifiutano di servire l’esercito. Se il mondo non tornerà al suo silenzio complice, se darà loro ascolto e li sosterrà, finalmente sarà forse possibile l’interruzione della Nakba continua.

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