Quale fondo o quale Europa? - di Roberto Musacchio

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Tocca a lei. Dal primo luglio Mutti (la madre, come la chiamano in patria) Merkel è presidente di turno della Ue, e dovrà portare a compimento il “gioco dei fondi”. Tutto quello che c’è stato prima, compreso il Consiglio europeo del 19 giugno, sarà stato di “preparazione” al parto affidato alla Mutti.

Le cose, dal punto di vista della “trattativa”, sono in realtà abbastanza chiare. Il Recovery fund, rinominato New generation Eu, è stato incardinato col bilancio settennale. Ergo si dovrà fare, perché senza bilancio non si può stare. E siccome il bilancio prevede una serie di do ut des, le combinazioni per ottenere il famoso ‘win win’ cui aspirano le negoziazioni internazionali sono molte.

Buona parte dei sedicenti Paesi frugali godono di sconti sulle quote da versare, sul modello di quelli che erano garantiti alla Gran Bretagna, e non ci vogliono rinunciare. Altri, dalla parte di Visegrad, sono privilegiati nella assegnazione dei finanziamenti, e anch’essi ci tengono a restare tali. Il “mercato”, quindi, si può fare.

Tutto risolto? Tutt’altro. Perché la vera questione aperta è che tipo di Europa si intende fare dopo la crisi del Covid, e dopo quella finanziaria del 2008. Cioè dopo le due grandi crisi che hanno rimesso in discussione gli assetti della globalizzazione.

Certo ci sono punti nodali da dirimere sul merito delle risorse, e del contesto in cui si andranno a collocare. Quanti sussidi e quanti prestiti. Quante e quali condizionalità. Per quanto la Bce andrà avanti col Quantitative easing? Cosa accadrà col patto di stabilità? È evidente che, se dovesse ritornare il quadro stringente di Maastricht, per l’Italia la situazione si farebbe drammatica.

La lezione del 2008 dovrebbe aver insegnato qualcosa. Il passaggio del governo Monti, “ispirato” dalle letterine di Draghi, ci ha lasciato in dote i 37 miliardi di tagli alla sanità, la legge Fornero, e ha accompagnato la perdita di circa il 25% delle nostre attività manifatturiere. Ed oggi il cuore di queste attività, la pianura padana, è messa molto male. Per questo andare appresso a Confindustria, che è abbarbicata al vecchio modello, o al Mes, che è la sopravvivenza del condizionamento più legato a Maastricht, non è proprio una buona idea.

Se prevalesse nella discussione tra le “borghesie forti”, tedesca e francese, l’idea di perseverare nell’occupazione del mercato interno, staremmo messi malissimo. Ma le borghesie che contano stanno parlando anche di altro. Tra Merkel e Macron si è parlato di “campioni europei” attrezzati alla nuova fase della globalizzazione centrata sul confronto, in un nuovo contesto, tra mega aree.

In Germania e in Francia, ma non solo, gli Stati investono miliardi, che si chiamerebbero aiuti di Stato, in auto elettriche o a idrogeno. In Italia Fca, che in questo quadro gioca in proprio, ci propina Jeep. Ma se penso a campioni penso ad altro. In primis ad una grande rete internet europea. La propose Corbyn alle elezioni. L’Europa è l’unica grande economia che non ce l’ha. Perché? Magari perché tutte le cose su cui l’Europa è stata campione, a partire dal welfare, le ha fatte col pubblico. Allora costruire una dimensione aziendale europea col concorso pubblico per le reti sarebbe una prospettiva importante. Cosa analoga si può pensare per un’azienda che intervenga in bonifiche e innovazioni ambientali.

In generale per le imprese si potrebbe pensare ad una dimensione europea, compresi gli indirizzi programmatici, le condizioni legali, fiscali, normative, di diritti del lavoro e di democrazia economica. Altro che concorrenza al ribasso su costo del lavoro, fisco e regole (che per altro sono già in gran parte europee). Così il quadro di Maastricht, l’ordoliberismo in cui lo Stato garantisce il mercato e non i cittadini e resta la concorrenza sul mercato interno come dominus, sarebbe superato da una nuova materialità. Di cui dovrebbe far parte un Servizio sanitario pubblico europeo, indispensabile per come siamo messi con le pandemie.

Così l’attuale architettura apparirebbe per quello che è, e cioè una bardatura d’ancien regime. Certo perché le cose vadano in un modo positivo serve che non si resti alla disputa tra borghesie. Serve un movimento operaio che entri in campo con le lotte, ma anche con una propria visione strategica autonoma.

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