In Toscana l’acqua tornerà pubblica - di Simone Porzio

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Nel referendum del giugno 2011, il 96% degli elettori si espresse a favore della totale pubblicizzazione della gestione dei servizi idrici, seguendo anche le indicazioni e l’impegno della Cgil. Ma nonostante l’esito inequivocabile perdura in larga parte della penisola la scelta, risalente ai primi anni 2000, di ricorrere a forme di gestione pubblico-private, con il risultato di onerosi aumenti tariffari, e di utili dirottati in voci di bilancio dei Comuni e delle imprese private. Utili che solo in parte marginale riguardano manutenzione, efficientamento della rete, depurazione delle acque, mitigazione delle tariffe. Le proposte normative di recepimento dell’esito referendario stentano ad essere approvate, per i repentini ed eterogenei cambi delle maggioranze parlamentari e conseguenti instabili coalizioni di governo.

In Toscana le cose sembrano procedere diversamente, finalmente. A partire dalla fine del 2018, tra le forze politiche della maggioranza regionale (Pd e Art. 1), con Serena Spinelli e con parte dell’opposizione (M5s e Toscana a Sinistra), e in gran parte delle amministrazioni comunali, si è avviato un processo che sembra andare nel verso da sempre tenacemente sostenuto dalla Cgil: costituire strutture totalmente pubbliche di gestione del servizio idrico integrato, attraverso un ente di governo di ambito territoriale che riconosca il valore dei vari territori, le loro differenze, la composizione, i bisogni delle comunità di cittadini e degli insediamenti produttivi.

Questo è stato il chiaro pronunciamento della maggioranza del Consiglio regionale, a cui è seguito quello dei 50 Comuni che compongono l’Ait, Autorità Idrica Toscana, alla quale è stato conferito l’incarico di individuare la forma più efficace di gestione sotto il profilo dei benefici per la collettività, in sostituzione delle attuali sei aziende di gestione che detengono compartecipazioni con soci privati, e di definire i tempi e le modalità di liquidazione delle quote di partecipazione dei privati stessi. I piani di fattibilità hanno confermato la validità e la maggior efficacia della gestione interamente pubblica.

A livello territoriale il processo si è già avviato, a partire dalla deliberazione per la fase di pubblicizzazione di Publiacqua nel 2024, data di scadenza della concessione, da parte dei comuni dell’Ato Toscana Nord, che vede come capifila Comuni come Firenze, Prato e Pistoia. È di questi giorni il perfezionamento delle disdette dei patti parasociali che legano i comuni ai soci privati, da deliberarsi da parte di ciascun Consiglio dei comuni delle Ato. È stato il Consiglio comunale di Prato il primo a deliberare in tal senso, a larga maggioranza, con l’astensione dell’opposizione, senza voti contrari. Da questi atti dovrebbe partire un effetto domino che, allo scadere dell’ultima concessione prevista nel 2030, permetterà ai cittadini della Toscana di riappropriarsi della risorsa idrica come bene comune gestito nell’interesse della collettività.

Soddisfatti? In parte sì, in parte no. Molte sono le incognite, e i rischi che il processo di pubblicizzazione possa essere compromesso o attuato a macchia di leopardo. Anzitutto l’orizzonte temporale per la chiusura dell’intera operazione, la fine del 2030, è troppo lungo. Poi, come e con quali risorse liquidare i 377 milioni di euro delle quote dei privati? Come impedire ulteriori aumenti tariffari, visto che il costo del consumo dell’acqua in Toscana è tra i più alti d’Italia? Infine, come garantire il mantenimento e il potenziamento degli interventi per adeguamento della rete infrastrutturale, incremento degli impianti di depurazione e ottimizzazione della captazione delle acque, visto il continuo ripetersi di periodi di siccità causati dalla crisi climatica?

Su questi aspetti la Cgil Toscana si è più volte pronunciata con proposte quali quella di sostenere i comuni nello sforzo finanziario di liquidazione delle quote con trasferimenti di risorse ad hoc da parte del governo centrale, individuando soggetti finanziari di garanzia “istituzionali” quali Cassa depositi e prestiti o la Banca europea di investimento.

Altro fattore ineludibile per la Cgil è quello della partecipazione di cittadini, parti sociali e associazioni di consumatori nelle scelte, nelle proposte e nella valutazione degli investimenti e piani tariffari, attraverso la costituzione di organismi di rappresentanza e garanzia da affiancare all’attività dell’Ait e dei soggetti gestori.

Aldilà delle incognite, è indubbio che in Toscana la politica ha preso coscienza che l’acqua rappresenta un bene comune fondamentale che non può essere governato e gestito da soggetti imprenditoriali privati. Le organizzazioni di rappresentanza collettiva come la Cgil non devono cessare di vigilare, denunciare, sensibilizzare lavoratori e opinione pubblica, collaborare per consolidare il principio dell’accesso all’acqua pubblica attraverso un servizio di qualità, economicamente, socialmente ed ecologicamente sostenibile.

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