La Cgil contro lo sbocco a destra della crisi del capitalismo - di Gian Marco Martignoni

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 Intervento al congresso della Cgil di Varese, tenuto il 9 e10 gennaio scorsi.

Il XIX Congresso della Cgil si svolge in un contesto internazionale segnato dalla somma di una serie di crisi che hanno condizionato e condizioneranno il destino dell’umanità, e inevitabilmente delle nuove e future generazioni. Questa policrisi di carattere sistemico, dunque strutturale e valoriale, da quella prodotta dai cambiamenti climatici alla pandemia-sindemia derivante dalla vicenda covid-19, da quella economica determinata dalla perdurante sovrapproduzione di merci per via della stagnazione secolare del capitalismo, sino alla tendenza dagli anni ’90 alla guerra permanente su scala planetaria e al rischio di una terza guerra mondiale, è la naturale conseguenza di un modo di produzione, quello capitalistico, che è in sé insostenibile, iper-consumista e distruttivo del rapporto uomo-natura, perché fondato sulla assoluta centralità della produzione bellica. Quindi foriero in prospettiva di scenari da tragedia biblica, in quanto aumentano in quantità e potenza quegli eventi estremi causati dall’incremento esponenziale in atmosfera dell’anidride carbonica.

Non si tratta di essere Cassandre o profeti di sventura, ma se solo pensiamo, con Luca Mercalli, al collasso dei ghiacciai, abbiamo plasticamente sul piano dell’immaginario l'idea di cosa significa battersi per un altro modello di sviluppo, giacché il concetto di sviluppo sostenibile in un contesto capitalistico è infondato, sia sul piano teorico che su quello della prospettiva politica a cui dobbiamo alacremente lavorare.

Certo, una inversione delle tendenze in atto è un compito immane, in quanto – per riprendere le riflessioni di Lucio Caracciolo e di Massimo Cacciari - come l’unipolarismo americano confligge con il multipolarismo su scala mondiale, allo stesso modo quel movimento critico della globalizzazione capitalistica, culminato nella grande manifestazione di Genova del 2001, ha subito, anche per mano della stretta repressiva del governo di centro-destra, una pesante battuta d’arresto. Al contempo è fallito miseramente il progetto della terza via propugnato da Blair, Clinton, D’Alema, Schroeder, ecc., che si proponeva illusoriamente di temperare un capitalismo che, per la logica estrattiva dell’accumulazione, è di per sé insostenibile.

E’ in questo fallimento che possiamo rintracciare la scissione tra etica e politica, perché mentre la destra non ha mai abbandonato i principi della sua identità, la sinistra, sposando l’ideologia della governabilità, è approdata a quell’interclassismo social-liberista che è, purtroppo, la negazione della difesa e della valorizzazione degli interessi di classe. Per cui con l’esplosione della grande recessione degli anni 2007-2008 si sono determinate le basi per l’affermazione di un vento conservatore su scala planetaria, impersonificato da Trump, Bolsonaro, Modi, Orban, Erdogan, ecc., che con la loro boria e tracotanza quotidianamente attaccano e mettono sotto scacco i principi fondamentali delle nostre democrazie, come è avvenuto, a Capitol Hill e in Brasile.

In pratica, mentre il movimento operaio per sua natura e per la sua storia si è sempre battuto attraverso il conflitto, la contrattazione e la legislazione per l’emancipazione delle classi subalterne, dobbiamo prendere coscienza, purtroppo, che è in corso un processo globale di dis-emancipazione delle masse sul piano economico, sociale, politico e culturale, grazie alla diffusione di nazionalismi che tendono ad escludere i migranti dal godimento dei diritti di cittadinanza. Nazionalismi che, stante il disorientamento e il declassamento sociale e salariale dei cosiddetti “perdenti” della globalizzazione, messi in competizione con i migranti, puntano a rilanciare i valori di una tradizione di stampo gerarchico e profondamente anti-illuminista.

In questo quadro regressivo non poteva sfuggire il nostro paese, perché dopo trent’anni segnati dal berlusconismo prima e poi dal fascio-leghismo, grazie al suicidio del voto utile e di un meccanismo elettorale anti-democratico qual è quello del Rosatellum, gli eredi del partito di Almirante sono giunti al potere in qualità di forza egemone del blocco del centro-destra, con anche la plateale investitura degli iper-liberisti di Cernobbio. A conferma, per dirla con le parole di Antonio Gramsci, del congenito “sovversivismo” delle nostre presunte classi dirigenti.

Pertanto, non possiamo nasconderci che questo contesto politico è il peggiore che potevamo aspettarci per realizzare gli obiettivi che sono indicati nel documento congressuale “Il lavoro crea il futuro”, in quanto non solo possiamo scordarci qualsiasi tavolo di concertazione, ma perché di fatto tutta la manovra del governo è mirata a colpire il nostro blocco sociale e a favorire, con i voucher e il codice degli appalti, il mondo dell’illegalità e del sommerso, in cui si infiltrano alla grande le organizzazioni mafiose. Anche perché da almeno due decenni sono stati depotenziati in termini di organici, risorse ed obiettivi da perseguire gli organismi deputati al controllo del lavoro nero e della sicurezza. Inoltre, quando sulla base dei dati fiscali del 2020 solo il 42% dei contribuenti – lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati - versa il 91,8% dell’Irpef, mentre il 58% paga solo l’8,2 %. Altro che manovra ingiusta e classista, come l’ha definita il segretario dello Spi, Ivan Pedretti. Altresì, con la mina vagante dell’autonomia differenziata, non solo è a rischio l’unità del paese, ma in discussione ci sono sia l’universalità dei diritti – a partire dalla possibile regionalizzazione della sanità e della scuola – sia il ruolo unificante dei contratti nazionali.

Infine, con il disegno di una repubblica presidenziale, è a rischio tutto l’impianto della nostra Costituzione, in particolare gli articoli 1 e 3 che fanno a pugni con la visione della società delle destre, fondata sul mito che tutti dovrebbero essere imprenditori di sé stessi, con la flat-tax e l’anti-progressività del prelievo fiscale.

Pertanto, come Cgil, abbiamo fatto bene quest’autunno a scendere in piazza a Roma e il 16 dicembre a proclamare con la Uil una serie di scioperi generali in molte regioni del nostro paese, anche perché, con il profilarsi di una pesante recessione sul piano economico e l’inflazione alle stelle, le contraddizioni si faranno sempre più esplosive, e di conseguenza dovremo esercitare il nostro mestiere fino in fondo, nella consapevolezza che siamo non da oggi sulla difensiva. Perciò siamo chiamati a compiti inediti ed impegnativi, da un lato per contrastare quell’apatia, quella rassegnazione e quella caduta della partecipazione che sappiamo sono presenti in molti luoghi di lavoro e nella società, dall’altro lato perché solo con la resistenza e il rilancio del conflitto sociale possiamo svolgere in piena autonomia il nostro ruolo negoziale. Indicando, nel disorientamento sociale che ci consegna l’assenza di una sinistra degna di tal nome, le linee guida di una visione alternativa al governo reazionario e razzista delle destre; naturalmente per il bene comune del paese come nella nostra migliore tradizione.

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