Per una Cgil più rappresentativa, autonoma, unita e plurale. Che dice e fa cose di sinistra - di Giacinto Botti

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Il nostro congresso avviene in una fase complicata, difficile. Il congresso è il momento di libero confronto, di verifica e di prospettiva, di rigenerazione del pensiero e della militanza, di incontro e confronto con le iscritte e iscritti. Non dovrebbe essere un appuntamento burocratico, di semplice costruzione e rinnovo del gruppo dirigente. Aperto invece alla società, alla partecipazione attiva e militante tra le generazioni. In Cgil le generazioni non si rottamano, si riconoscono, si sostengono, scambiano esperienze, valori e lottano insieme per conquistare diritti e un paese migliore.

Priorità assoluta è fermare la guerra in Ucraina e la sua pericolosa escalation, dire basta all’invio di armi e al riarmo. Occorre non rassegnarsi alla guerra e avviare subito una trattativa che porti a una tregua subito e alla Pace possibile, condivisa e duratura. Dopo un anno di distruzione e di morte non c’è alcuna volontà di un’azione diplomatica. La Ue, senza politica estera, ha inviato in Ucraina oltre 5 miliardi di armamenti, e l’aumento della vendita di armi statunitensi ai partner Nato ammonta a 25 miliardi di dollari. In Italia le spese militari sono arrivate a 22 miliardi e dovranno arrivare al 2% del Pil.

Sono guerre atroci, di un potere che manda al macello i suoi giovani. Duecentomila soldati morti in una guerra per procura, violenta a corpo a corpo, di trincea e di sofferenza. “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, come il titolo di un libro “antico” ma efficace e di grande attualità, contro l’allora retorica nazionalista e il dogma bellicista, e la carneficina della generazione tedesca nella prima guerra mondiale. Un libro da far leggere a ogni bellicista da salotto e a ogni sostenitore della tesi che le armi producono la Pace e la fine della guerra.

Il pianeta è a rischio e la crisi climatica sta producendo enormi sofferenze e gravi conseguenze; siamo colpiti da eventi devastanti, dalle alluvioni, alla siccità, dagli incendi, alle carestie. I terremoti producono morti e sofferenze, mentre mancate prevenzioni, inadatte costruzioni e soccorsi inadeguati ne aumentano gli effetti. Quante risorse economiche sprecate in armi, quante vite consumate e sacrificate al profitto, quanta povertà, miseria e ingiustizia per favorire l’arricchimento di pochi.

Per affrontare il mare in tempesta c’è bisogno di una Cgil unita e plurale, autonoma nel pensiero e nell’azione, forte della coerenza delle scelte assunte e delle lotte fatte. Una Cgil impegnata nel dare continuità alla mobilitazione generale e territoriale contro le scelte sociali ed economiche del governo, pronta a dare voce e rappresentanza al mondo del lavoro, ai pensionati, alla parte più debole e discriminata della popolazione, ai giovani e alle donne, a tutte e tutti coloro che hanno pagato e pagano le conseguenze della profonda crisi di sistema, della grave crisi climatica e ambientale. Dare voce a chi si batte per i diritti sociali e civili, i diritti nelle possibilità, i diritti alle pari opportunità, i diritti di chi appartiene ad altre nazionalità, alla comunità Lgbtq+ ed è vittima di intolleranza e discriminazione.

La Cgil è stata ed e in campo, con coerenza e appropriatezza delle sue scelte, con la sua autonomia di pensiero e di azione, la sua idea forza di società e di progresso. Dovrà trovare energie nuove con il potenziamento del suo insediamento e della rappresentanza, rinforzando alleanze sociali e politiche e l’unità del mondo del lavoro. Occorre alimentare una partecipazione culturale, consapevole e militante per reggere uno scontro duro di lunga durata. Dovremo riaffermare il valore del pensiero lungo e forte, credere nelle proprie idee e nei propri valori, rivendicare e lottare per riscrivere un’altra storia e un altro mondo possibile. Senza la battaglia delle idee non si riconquista l’egemonia. Partire dalla realtà non solo per leggerla ma per cambiarla.

Lo stato reale del paese dovrebbe interrogare chi ha governato per decenni: 24% il tasso di disoccupazione giovanile, uno dei più alti d’Europa; 49% il tasso del disoccupazione femminile, 14 punti in più della della media europea; 4 milioni di dipendenti assunti con contratti precari e a tempo; sette su dieci i contratti a tempo determinato attivati nel 2022; 12% il part time involontario; 13% il tasso medio del lavoro povero; 9% i lavoratori subordinati con una retribuzione annua lorda inferiore a 10mila euro; tre i morti mediamente assassinati ogni giorno sul lavoro.

Mancano 210mila insegnanti e 36mila personale Ata, 30mila medici sia di famiglia che ospedalieri, 250mila infermieri; solo il 6,1% del Pil la spesa sanitaria nel 2025 - lascito del governo Draghi - meno di quel 6,5% previsto dalla Oms come spesa minima di garanzia per il diritto alla salute. Centomila miliardi dievasione fiscale ogni anno; 120 le donne uccise dagli uomini con cultura patriarcale e maschilista; 3.000 rifugiati, profughi, migranti lasciati morire l’anno scorso – secondo i dati ufficiali - per ipocrisia e disumanità politica che interrogano anche le nostre coscienze.

L’incalzante e devastante privatizzazione delle funzioni pubbliche - sanità, istruzione, trasporti, cultura - è una distorsione degli stessi assetti e valori costituzionali. Il perimetro delle prestazioni fornite dal Ssn e la sua universalità non sono più garantiti. Siamo alla desertificazione sanitaria per vaste aree del paese e l’autonomia differenziata amplierà questa e altre diseguaglianze. La spending review ha prodotto tagli di posti letto, ospedali, presidi sanitari, medicina territoriale, taglio del personale. Lo Stato è ridotto a una azienda e i politici a degli amministratori. La politica da decenni si affida al privato per amministrare il pubblico, e non vede la gravità di una sanità pubblica che lascia i cittadini senza un diritto così pregnante, soprattutto in un paese che sta invecchiando.

Questi numeri di inciviltà e barbarie non sono un destino ma il frutto velenoso di scelte e di un sistema capitalistico che esiste ancora; esistono ancora le classi, i poveri e i ricchi, gli sfruttati e gli sfruttatori, i possessori di immense ricchezze.

Il cambiamento radicale non arriverà con il capitalismo ‘sociale e compassionevole’, con miliardari filantropi, e neppure da un cattolicesimo elemosiniere, caritatevole e ‘sussidiario’. Per cambiare questa realtà servono la politica, la sinistra, serve il sindacato confederale, serve la Cgil, ora più che mai. Una Cgil autonoma, forte e gelosa della sua autonomia di pensiero e di proposta, con radici che affondano nella migliore storia del movimento operaio e delle sinistre politiche italiana e internazionali. Una Cgil autonoma dai partiti e dai governi, ma mai autosufficiente, indifferente e antipolitica: siamo presidio di democrazia e coerenti difensori della Costituzione, che è il nostro programma politico-sociale. Conosciamo la sostanziale differenza tra destra e sinistra. Avremmo bisogno di una sinistra “moderna”, con al centro il lavoro, non equidistante tra capitale e lavoro e tra sindacato e impresa. Una sinistra che manca, dispersa in anni di abbraccio mortale col neoliberismo, nella retorica della governabilità.

Servono nuovi rapporti di forza tra capitale e lavoro, tra sfruttati e sfruttatori, tra padroni e lavoratori nei luoghi di lavoro. Dovremo uscire dal congresso alzando lo sguardo sul paese reale, dando risposte ai bisogni e alle aspettative di chi rappresentiamo. Con una Cgil coesa perché forte del suo pluralismo, rappresentativa, rinnovata nel suo gruppo dirigente, unita e plurale. Dovremo nei tempi giusti costruire le condizioni per riempire ancora il Circo Massimo. Questo dipende da noi, tutte e tutti. Siamo il sindacato democratico di rappresentanza generale, la casa della solidarietà e dell’eguaglianza, delle lavoratrici e dei lavoratori, dei e delle giovani, delle pensionate e dei pensionati, dei ceti popolari.

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