La lezione di Giorgio Ruffolo - di Alfonso Gianni

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Con la scomparsa di Giorgio Ruffolo – morto lo scorso 16 febbraio a quasi 97 anni dopo una lunga malattia - perdiamo una delle più grandi personalità che hanno saputo unire l’agire politico e istituzionale con una cultura economica innovativa, entro la quale massima era l’attenzione alla salvaguardia del pianeta che uno sciagurato modello di sviluppo ha ridotto nelle attuali condizioni. Ad essa Ruffolo accompagnò sempre una fiducia nell’efficacia dell’intervento pubblico e di una programmazione economica di ampio respiro. Tutta la sua storia intellettuale e politica smonta la convinzione, un tempo radicata, che tra economia ed ecologia vi sia un contrasto insolubile.

Ruffolo è stato un esponente storico del Psi, nel quale militò accanto a Antonio Giolitti per poi fare parte della sinistra lombardiana. Avversò il craxismo in tutte le sue manifestazioni, contrapponendogli un rigore politico ed etico che fu una caratteristica costante della sua persona, che non sfuggiva all’analisi critica di una realtà in continuo cambiamento.

Fu sempre un attivo fautore dell’unità della sinistra. Ricordo le riunioni con lui, con Lucio Magri ed altri nei primissimi anni ‘80 dedicate a questo tema, e la sua attenzione anche per le formazioni minori della sinistra, quale eravamo noi del Pdup. Anche quando confluì in quello che sarebbe diventato il Pd, mantenne sempre un atteggiamento critico ma propositivo verso quel partito.

La sua attività nelle istituzioni è stata di lungo corso. E’ stato deputato, senatore, eurodeputato, ministro. Nel 1962, durante il primo centrosinistra, venne chiamato da Ugo La Malfa a organizzare presso il ministero del Bilancio gli uffici che dovevano programmare in modo equilibrato lo sviluppo economico del paese, sfruttando il boom economico del quinquennio appena concluso, per indirizzarlo verso un riequilibrio nord/sud e sanare gli sconquassi sociali e territoriali seguiti ad una crescita così impetuosa ma non guidata. Fu, fino al 1975, segretario della Programmazione economica, un ruolo per lui appositamente creato. Sotto la sua guida prese corpo il “Progetto 80”, nel quale per la prima volta le risorse naturali venivano considerate beni collettivi da tutelare.

Lavorò intensamente per applicare quei principi quando divenne ministro dell’Ambiente tra il 1987 e il 1992. In quel ruolo rappresentò il governo italiano in importanti incontri internazionali, susseguenti al protocollo di Montreal del 1987 a protezione dell’ozonosfera. Successivamente si impegnò per la stabilizzazione delle emissioni di Co2 entro il 2000 ai livelli del 1990: la famosa “base 90”. Fu un acceso sostenitore del “principio di precauzione”.

Nel 1991 Ruffolo propose, in una riunione dell’Ocse da lui presieduta e dedicata alla fiscalità ecologica, la “carbon tax”. Al “Vertice della Terra” di Rio de Janeiro del ’92, alla presenza di Bush, Fidel Castro, Mitterand e quaranta capi di governo africani, avanzò l’idea di una tassa energia/Co2 che prevedeva un’articolata distribuzione del gettito. Ricevette l’applauso dei presenti, e quella venne definita dal Financial Times una delle rare idee concrete emerse in quel convegno.

Naturalmente poi i governi non seguirono quella strada. Finita l’esperienza del primo centrosinistra si chiuse ogni discorso sulla necessità della programmazione. Poi venne l’ondata neoliberista degli anni ottanta e la globalizzazione, che portarono con sé una esasperata politica di privatizzazioni in campo economico e finanziario. Ruffolo commentava: “Non ce l’ho affatto con la destra, che fa il suo mestiere, ma con quelle cingallegre della sinistra che non perdono occasione per ironizzare sulle anime belle, sulle utopie astratte, in nome di una concretezza e di una serietà che fino ad oggi non hanno prodotto neppure una riforma degna di questo nome”.

Nella sua ultima intervista, rilasciata nel 2015, ripercorrendo l’esperienza della sua vita dirà: “Le nostre voci … sono state troppo deboli di fronte all’avanzata impetuosa del capitalismo”. Ma anche quando le speranze di una reale trasformazione vennero meno, Ruffolo, da grande intellettuale innamorato della cosa pubblica, continuò ad insistere attraverso una costante produzione di articoli, saggi e libri. La misura di sé lo aiutò ad affrontare la dolorosa consapevolezza della sconfitta della sinistra, che non incrinò il suo intelligente umorismo, che espresse anche nel titolo di uno dei suoi libri più significativi: “Il capitalismo ha i secoli contati”.

Grazie, Giorgio.

 

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