Contro il governo la nostra piattaforma per l’applicazione delle Costituzione - di Leopoldo Tartaglia

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

Intervento al XXI Congresso nazionale Spi Cgil, Verona 21-24 febbraio 2023.

Come ha giustamente detto Ivan Pedretti nella sua bella e ricca relazione, la mobilitazione per fermare la guerra è il nostro primo impegno. A un anno dall’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina si conferma che la guerra non risolve niente, ma aggrava e incancrenisce tutti i problemi. Centinaia di migliaia di giovani mandati a morire da ambo le parti, migliaia di vittime civili, milioni di profughi, un Paese largamente distrutto.

Ma dopo un anno – anche se tutti hanno capito e molti cominciano a dire che l’unica via d’uscita è un negoziato e un accordo, quantomeno una tregua – non si vedono spiragli di trattative e di cessate il fuoco. Non sono in discussione le enormi, criminali responsabilità di Putin. È in discussione chi e come tra i governi e le istituzioni internazionali avrà il senso di responsabilità di fermare il massacro e affermare l’unica vittoria possibile: quella della Pace!

Quindi, quando torneremo a casa dal congresso, in questo fine settimana, saremo come sempre ad animare le manifestazioni pacifiste. Quindi, riaffermiamo il nostro “No” all’invio di armi e all’aumento delle spese militari. Sacrosanta la proposta di una mobilitazione sindacale europea.

Ma l’Unione europea? Dov’è l’Unione europea? Sì, è sempre a Bruxelles, ma non più a Schumann dove ha sede la Commissione. No, qualche chilometro più in là, verso l’aeroporto, nel quartier generale della Nato. L’Unione è la prima vittima collaterale di questa guerra. Invece di giocare un ruolo di mediazione e pacificazione, di proporre una nuova Conferenza di Helsinki sulla sicurezza comune in Europa, come nel ’75, ai tempi della guerra fredda, l’Unione – sempre più divisa al suo interno – indossa l’elmetto, diventa co-belligerante, cancella ogni sua ipotetica idealità e interesse per seguire pedissequamente gli interessi degli Usa.

Anzi, dagli Usa – responsabili secondo il giornalista investigativo americano Hersh del sabotaggio dell’oleodotto Nord Stream 2 – vengono segnali di moderazione dell’escalation. Contraddittori, ma pur sempre meno esili di quelli europei.

Su un’altra guerra – mai dichiarata, ma davvero combattuta – l’Unione europea trova la sua unica unità: la guerra contro i migranti. Anzi, per la precisione, la guerra contro i migranti dai paesi poveri, dal cosiddetto terzo mondo. Perché, nella tragedia dell’aggressione all’Ucraina, una sola cosa corretta è avvenuta: l’Unione ha finalmente attivato il meccanismo del permesso di soggiorno temporaneo previsto da una Direttiva del 2001, finora mai applicato alle altre emergenze umanitarie e ai profughi in fuga da altre guerre. Un permesso automatico che giustamente consente la libera circolazione all’interno dell’Unione, la ricerca del lavoro e la possibilità di essere regolarmente occupati, la fruizione del welfare.

La Commissaria Ue all’immigrazione, nel marzo scorso, ha dichiarato che in poche settimane l’Unione aveva accolto milioni di profughi ucraini, tanti quanti ne erano arrivati da altri paesi in due o tre anni. In Italia sono arrivati 170mila profughi ucraini – prevalentemente donne, anziani, bambini – senza che nessuno se ne accorgesse, senza titoloni dei giornali e dei Tg, senza manifestazioni inneggianti all’“aiutiamoli a casa loro”. Bene, giusto, doverosa solidarietà, finalmente rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale.

Ma perché gli ucraini sì e i siriani, gli afghani, gli irakeni, i nordafricani no? Perché lasciamo morire in mare migliaia di donne e bambini? Perché lasciamo che la cosiddetta “guardia costiera” libica, con le nostre motovedette e i nostri soldi, sequestri e costringa in veri e propri lager decine di migliaia di profughi e potenziali richiedenti asilo? Perché diamo la caccia alle Ong che – invece di prendere mazzette dal Qatar o dal Marocco – salvano centinaia di vite umane? Perché costringiamo migliaia di persone a mesi, quando non anni di estenuanti e pericolosi viaggi – spesso a piedi – nella cosiddetta rotta balcanica al freddo, al gelo, senza cibo, senza ripari? Quanti ne muoiono anche là e quanto calpestiamo, noi civilissima Unione europea, civilissima Italia, il diritto internazionale e i diritti umani fondamentali?

Lasciatemi dire che quando, giustamente, esprimiamo le nostre preoccupazioni e la nostra esecrazione per il governo a guida neofascista uscito dalle urne del 25 settembre, dobbiamo partire da qui.E, scusate, da qui dobbiamo partire anche quando ci interroghiamo sulla crisi delle sinistre e del centrosinistra. Possiamo mai sottacere che gli accordi con la Libia sono stati siglati per primi da un governo e un ministro di centrosinistra? Possiamo mai sottacere che su questi temi, ad essere generosi, il centrosinistra è stato totalmente subalterno alla destra, ne ha assunto completamente l’agenda, qualche volta con un po’ meno di cinismo, ma nulla più?

Non solo su questo – comunque dirimente – il nostro popolo ha faticato a trovare le differenze. E forse stanno qui le ragioni di un astensionismo di massa che ha una chiara connotazione di classe: sono i lavoratori, gli operai, i giovani precari, i ceti popolari delle periferie urbane che non vanno più a votare, perché non trovano più, da tempo, nell’offerta politica formazioni che esprimano chiaramente i loro bisogni e le loro aspirazioni. Ma ancor più una visione realmente alternativa di modello sociale ed economico, basato su diritti universali sociali e del lavoro, sulla solidarietà e non sulla competizione, sul ridisegno del rapporto tra essere umano e natura, sulla pace e la convivenza tra i popoli.

Scusate, ma a volte trovo quantomeno kafkiana qualche nostra discussione su di noi e la sinistra/le sinistre. Non solo la Cgil ha le sue radici nella sinistra. La Cgil è di sinistra perché dice e soprattutto fa cose di sinistra nel suo agire sindacale quotidiano.

Altri, purtroppo, hanno perso le loro radici e quindi anche i loro orizzonti, navigando a vista, al massimo nella buona amministrazione.

Il programma dello Spi, della Cgil, come conferma il documento congressuale “Il Lavoro crea il futuro”, è una piattaforma di coerente applicazione dei principi e delle prescrizioni della nostra bella, sana, attuale Costituzione repubblicana nata dalla lotta di Liberazione antifascista. Questi sono i nostri valori, il nostro Dna e, contemporaneamente, i nostri obiettivi. Non sarà facile affermarli con un governo a guida neofascista. Ma nella nostra determinazione e coerenza, nella nostra democrazia e partecipazione, nel nostro agire contrattazione e conflitto, continueremo a difendere e conquistare vecchi e nuovi diritti, a partire – lo diciamo noi che siamo anziani – dal superamento della precarietà del lavoro, dalla riunificazione del mondo del lavoro.

Diciamolo chiaro: il lavoro stabile, sicuro, ben retribuito dei giovani è la prima misura se si vuole rilanciare la natalità nel nostro Paese, se vogliamo consentire a ragazzi e ragazze di progettare il proprio futuro e poter liberamente scegliere se diventare madri e padri, se restare in Italia o scegliere di andare all’estero, non perché costretti da disoccupazione e precarietà a vita.

Mentre ci imbottivano di menzogne sulla “invasione” dei migranti, in Italia – già prima dell’ecatombe pandemica – la popolazione diminuiva di quasi un milione e mezzo di persone. E ci permettiamo lo sfregio di negare la cittadinanza a un milione di bambini e bambine, ragazze e ragazzi nati in Italia da genitori stranieri o che comunque studiano e giocano con i nostri nipoti, tifano per le stesse squadre di calcio, guardano il Festival di Sanremo.… se i genitori non li mandano a letto dopo Carosello (come ai nostri tempi, lo so che adesso non c’è più).

Infine, in questo congresso autorevoli compagne e compagni hanno voluto dare il loro saluto. Permettetemi di farlo anch’io, dopo vent’anni di incarichi nazionali, prima alla Cgil e poi allo Spi. Devo ringraziare la Cgil e lo Spi per le opportunità che mi hanno dato, la fiducia che mi hanno accordato nel rappresentare il nostro grande sindacato a livello europeo e internazionale. Un ringraziamento particolare a Ivan e a Mina Cilloni, con cui ho avuto il piacere di lavorare strettamente – e direi all’unisono – in questi anni. Ma un saluto e un ringraziamento a tutte le compagne e a tutti i compagni del centro nazionale e a tutti i territori. Da tutte e tutti ho imparato molto e mi sono potuto arricchire.

Ma permettetemi anche di farvi e farci un augurio. Ci sono molte cose in cui possiamo migliorare, non ultima la piena valorizzazione – a tutti i livelli – del pluralismo delle idee, della pluralità delle aggregazioni programmatiche anche dentro la maggioranza congressuale. Un grande sindacato come lo Spi, una grande confederazione come la Cgil, vivono della ricchezza del pluralismo programmatico. Non possono basarsi solo sul confronto tra segretari generali o tra le strutture intese come blocchi monolitici. Cambierebbe la nostra stessa natura, appunto confederale, in una federazione di federazioni.

Grazie, compagne e compagni! W lo Spi, W la Cgil!

 

©2024 Sinistra Sindacale Cgil. Tutti i diritti riservati. Realizzazione: mirko bozzato

Search