Sostanze: dal governo Meloni politiche iperproibizioniste e ipersecuritarie - di Denise Amerini

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

Quale sia il programma, più o meno esplicitamente dichiarato, dell’attuale governo in tema di droghe e carcere era già evidente: basti pensare alla discussione che si è sviluppata attorno al cosiddetto ‘decreto rave’ ed ai suoi contenuti. Oggi, è ancora più evidente, che i temi della sicurezza, del decoro, della giustizia declinata come ‘pene esemplari’ e ‘tolleranza zero’, sono uno dei cavalli di battaglia di un governo legato ad una ideologia proibizionista e securitaria. La sicurezza, il decoro, così come i bisogni, le sofferenze, trasformati in altro, da politiche della paura che dimenticano la dimensione sociale.

Nelle scorse settimane, a Vienna si è tenuta la 66esima sessione della Commissione Stupefacenti della Nazioni Unite: in quella sede, il sottosegretario Alfredo Mantovano, che ha la delega alle politiche antidroga, ha dichiarato che il nostro Paese si opporrà a qualsiasi ipotesi di legalizzazione, che la droga “è una minaccia per la salute di ogni persona e per la sicurezza delle nostre comunità”, che non esistono droghe leggere, riproponendo una visione delle persone che usano sostanze come devianti e malate, pericolose per sé e per gli altri.

Ha riesumato la logica della tolleranza zero e del consumo zero, che tanti danni ha prodotto alle persone che usano droghe, in termini di stigmatizzazione, patologizzazione, criminalizzazione. Politiche del tutto inefficaci per ridurre i consumi, promuovere salute e benessere, ma che hanno avuto il risultato di riempire le carceri, visto che quasi il 30% delle persone detenute sono tossicodipendenti.

Politiche che hanno inoltre impoverito i servizi, le risposte ai bisogni reali delle persone, limitando tutte quelle iniziative utili a fare formazione, informazione, a ridurre i rischi e i danni legati all’assunzione di sostanze. Basti pensare alla narrazione che viene proposta rispetto alle stanze del consumo sicuro, già efficacemente sperimentate in diversi paesi d’Europa, presidi importantissimi di salute individuale e pubblica, descritte invece come le ‘stanze del buco’, in cui le persone possono recarsi per assumere eroina senza nessun disturbo, volute da chi è ‘favorevole alla droga’.

Anni di studi, di ricerche, di esperienze concrete sul campo, hanno dimostrato l’importanza e l’efficacia delle politiche di riduzione del danno, a fronte del fallimento delle politiche proibizioniste: un mondo senza droghe è impossibile, le politiche di legalizzazione e di depenalizzazione hanno prodotto risultati concreti in termini di salute delle persone, e di contrasto alla criminalità.

Alle dichiarazioni di Mantovano si sono aggiunte quelle del sottosegretario Delmastro, che ha pubblicamente esplicitato che cosa il ministero della Giustizia intende fare riguardo ai detenuti tossicodipendenti, con affermazioni assolutamente preoccupanti, che fanno tornare indietro di decenni: i tossicodipendenti, dichiara, in carcere non ci devono stare, ma vanno destinati a ‘comunità chiuse, in stile Muccioli’.

Le persone che hanno problemi di dipendenze da sostanze in carcere non ci devono stare, ma è del tutto evidente come in questo modo non si pensi a misure alternative, ma a luoghi diversi di contenimento, che viene declinato nello stesso identico modo, se non peggiore, configurando anche una completa delega al privato.

C’è bisogno di veri percorsi alternativi, peraltro già previsti dalle norme e scarsamente utilizzati, che non siano solamente detentivi, ma terapeutici, lavorativi, di inclusione. Le comunità non sono, non possono essere surrogati del carcere, non possono essere istituzioni totali separate dal contesto sociale.

Sfiorano il ridicolo ragionamenti che motivano questa scelta, legati al sovraffollamento carcerario, come se il problema si risolvesse così: per intervenire in maniera efficace sul sovraffollamento serve ben altro, a partire dalla depenalizzazione dei reati minori, e dal concreto ricorso alle misure alternative già previste nel nostro ordinamento.

Spaventa la visione etica che sottende tutto il ragionamento, per cui le persone devono obbligatoriamente essere inviate in comunità, e che si sostanzia in una affermazione: se ti comporti bene potrai scontare la pena in maniera lineare, altrimenti avrai bruciato le tue possibilità perché lo Stato, come un buon padre di famiglia, non potrà più fidarsi… tornano in mente i ragazzi legati ai termosifoni ‘per il loro bene’…

 

Allora dobbiamo rilanciare con forza i contenuti della campagna ‘Educare non punire’, come sostenuto nella conferenza stampa del 21 marzo scorso che alla Camera ha visto gli interventi di Cgil, Cnca, Antigone, garanti. Le comunità non sono carceri, non è di carceri private che abbiamo bisogno, ma di servizi in grado di rispondere ai bisogni di salute dei cittadini. Abbiamo bisogno di giustizia sociale.

©2024 Sinistra Sindacale Cgil. Tutti i diritti riservati. Realizzazione: mirko bozzato

Search