Una nuova vertenza generale sul diritto alla casa - di Laura Grandi

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Il 3 aprile scorso si è svolta la prima convocazione degli ‘Stati Generali della Casa’, con la finalità di costruire, insieme a sindacati confederali e degli inquilini, forze politiche, sociali e istituzionali, “una iniziativa che rimettesse al centro il diritto sociale alla casa, e favorisse una nuova politica per risolvere il disagio abitativo”. L’iniziativa, organizzata da Cgil e Sunia nazionali, ha visto l’intervento iniziale di Stefano Chiappelli, segretario nazionale del sindacato inquilini, e le conclusioni di Gianna Fracassi, vicesegretaria Cgil.

L’incontro ha tracciato un percorso di mobilitazione e di forte sollecitazione di tutti i canali istituzionali, tenuto conto che il governo ha la manifesta intenzione di non aprire alcun confronto con i sindacati su molti punti e men che meno sulla casa. Eppure appare chiaro che servono interventi per l’emergenza legata all’aumento della povertà e alla crescita degli affitti, che stanno mettendo in difficoltà centinaia di migliaia di nuclei familiari, ma anche un piano decennale di investimenti che intervenga sul bisogno di case in affitto a canone sociale.

Davanti a una platea strapiena sono intervenuti il presidente di Federcasa, l’assessore alla Casa della Regione Puglia, il Censis, Nomisma, Auser, Spi, Udu, la vicesindaca di Bologna, la Caritas e rappresentanti di Cisl e Uil. Tutti gli intervenuti hanno evidenziato l’urgenza di un’azione sulla qualità dell’abitare e come le politiche della casa, da anni, siano sottostimate. Le famiglie faticano a recuperare risorse per mantenere la propria abitazione, e molte altre trovano vincoli e ostacoli per accedere a situazioni abitative adeguate.

Da molti anni risulta chiaro che, per alcune fasce sociali e per alcune categorie di cittadini (famiglie mono genitoriali, famiglie di origine straniera, giovani coppie, studenti fuori corso), siano aumentate le difficoltà ad affittare e ad acquistare un’abitazione sul mercato a causa della richiesta di garanzie difficilmente assicurabili, ma anche ad accedere ad abitazioni in affitto a canoni sostenibili data la scarsità di offerta di edilizia pubblica e di abitazioni a canone concordato. L’evidenza maggiore rimane quella di un mercato delle locazioni bloccato dagli affitti brevi e con prezzi inaccessibili ai più: accessibili solo ai benestanti, ai ricchi.

Insomma siamo di fronte al reale rischio di scivolamento verso una condizione di vulnerabilità di persone che, fino a oggi, erano in grado di sostenere un’abitazione a prezzi del mercato libero, ed è anche possibile ipotizzare un aumento delle persone che non troveranno accesso a soluzioni abitative sostenibili, e dunque la concreta possibilità che possa aumentare il numero delle persone che scivoleranno in una situazione di emergenza abitativa, senza soluzioni da parte delle amministrazioni.

Non esiste welfare universale in assenza di una risposta universale sulla casa. Le politiche abitative sono da troppo tempo la Cenerentola delle politiche sociali e raramente vengono contemplate quando si ragiona di programmazione urbanistica. Prevedere blocchi degli sfratti quando si è di fronte ad emergenze come quella del Covid è stato purtroppo necessario, ma non è stata la risposta strutturale ad un problema strutturale.

Si fatica ad aiutare quello che da qualche anno viene definito ceto medio impoverito, duramente messo alla prova sia dalla crisi del 2009 che soprattutto dalle conseguenze economiche della pandemia. Dietro lo slogan “solo il 20% della popolazione vive in affitto” si sono rifugiati negli ultimi decenni generazioni di amministratori. Questo ha di fatto segnato il tramonto di ogni politica destinata alla locazione. Occorre invertire la rotta.

Casa e lavoro sono tornati a essere urgenze indifferibili per la politica, a qualunque livello. Con l’aggravante che in molti contesti i costi dell’abitare sono schizzati ben al di sopra della capacità di spesa degli stipendi medi. Un fenomeno che, in non poche città, si manifesta nella paradossale impossibilità di assumere personale qualificato, o di coprire posizioni messe a concorso nel pubblico, proprio per gli alti costi della vita e dell’abitare. Stipendi bassi e costi abitativi esagerati stanno innescando una spirale soffocante per un numero crescente di persone e famiglie, addirittura tra chi possiede la casa in cui abita, approfondendo il solco delle disuguaglianze che già gravano sulle nostre comunità.

Di fronte alle crisi climatica, energetica ed economica globale con cui ci confrontiamo, disinnescare gli aspetti distruttivi di queste trasformazioni diventa ogni giorno più urgente. Mai come ora, perciò, la politica deve rivendicare il proprio ruolo e tornare a concepire le città e i territori non come giustapposizione di spazi e funzioni, ma come insieme complesso e vitale, in cui a tutti e a ciascuno sono garantite possibilità d’integrazione, partecipazione nei processi trasformativi e tutela dei diritti.

La giornata di lavori si è chiusa con l’impegno di proseguire su questa linea di rivendicazione, per affermare sempre di più il diritto alla casa.

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