Sahara Occidentale: 50 anni di Polisario - di Luciano Ardesi

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Il 10 maggio 1973 il Fronte Polisario nasce attorno ad un piccolo nucleo d’avanguardia di giovani nazionalisti sahrawi guidati da El Wali Mustafa Sayed. L’obiettivo è chiaro fin dall’inizio: liberare il Sahara Occidentale, allora occupato dalla Spagna, se necessario anche attraverso la resistenza armata. Solo tre anni prima, una pacifica manifestazione nazionalista era stata soffocata dagli spagnoli che avevano arrestato e fatto sparire il leader nazionalista Bassiri. La Spagna franchista non dava segnali di voler decolonizzare quel territorio, malgrado i richiami dell’Onu. Così, dieci giorni più tardi, il 20 maggio il Polisario compiva la prima azione armata contro un posto militare spagnolo.

Inizia così la più lunga lotta per la decolonizzazione, non ancora conclusa perché adesso è un altro Stato africano, il Marocco, a occupare quel territorio. E la resistenza armata è ripresa dopo che il cessate il fuoco, in vigore dal settembre 1991 e sorvegliato dai caschi blu, è stato violato da Rabat nel novembre 2020. Ma non è solo resistenza armata perché, nei territori occupati dal Marocco, una resistenza pacifica e nonviolenta si è sviluppata ininterrottamente dal 1999 in poi con azioni di disobbedienza civile e manifestazioni pacifiche brutalmente represse. Le protagoniste di questa resistenza nonviolenta sono soprattutto le donne, tra le quali emergono alcune figure di spicco per coraggio e determinazione come Aminatu Haidar, la Gandhi sahrawi.

Il bilancio di questi primi cinquant’anni potrebbe sembrare negativo. Il paese rimane occupato, diviso da nord a sud dal “muro della vergogna”, dietro cui il Marocco nega ogni tipo di dignità ai sahrawi. Il piano di pace dell’Onu, che prevede il referendum di autodeterminazione, rimane lettera morta a causa del boicottaggio del Marocco e delle potenze sue alleate, Francia e Stati Uniti in primo luogo. La guerra è ripresa da tre anni nell’indifferenza generale.

Va però ricordato che il Polisario ha fondato nel febbraio 1976 uno Stato, la Repubblica araba sahrawi democratica (Rasd), membro prima dell’Organizzazione dell’unità africana (Oua) e poi fondatore dell’Unione africana, e riconosciuto da una settantina di governi nel mondo. Ha portato in salvo decine di migliaia di sahrawi, che fuggivano i bombardamenti dell’aviazione marocchina, nel deserto algerino. Qui ha organizzato campi profughi esercitando il governo di una società, anche se in esilio. Da una società totalmente assistita si è passati progressivamente ad una società e ad una economia dove pubblico e privato cercano un equilibrio problematico. L’aiuto umanitario si è progressivamente rarefatto ed è la diaspora sahrawi a permettere condizioni di vita difficili ma accettabili.

Sul piano diplomatico la Rasd ha creato solide relazioni, si pensi ad esempio ai due maggiori paesi africani, Nigeria e Sudafrica, oltre naturalmente all’Algeria a fianco dei sahrawi fin dall’inizio. In Europa, dopo la dissoluzione della Jugoslavia, nessun paese riconosce la Rasd, ma il Polisario ha costruito importanti legami con la società civile e con le istituzioni europee. Lo scandalo del Qatar/Maroccogate, scoppiato nel dicembre scorso al Parlamento europeo, ha messo in evidenza la politica di corruzione e di ricatti che è in grado di sviluppare la monarchia marocchina.

Il risultato più importante di questi cinquant’anni rimane probabilmente il Polisario stesso. La monarchia marocchina ha messo in opera ogni mezzo per romperne l’unità, per corrompere i suoi dirigenti, per comprare e ricattare i sahrawi dei territori occupati. Gli esiti sono stati notevolmente inferiori ai mezzi impiegati. Il popolo sahrawi rimane unito attorno al Polisario, malgrado diverse crisi interne, maldestramente tenute nascoste in un eccesso di nazionalismo protettivo quando invece dimostrano la capacità di resilienza e di mediazione di un’organizzazione politica che opera in un contesto molto particolare.

Un’intera generazione di giovani militanti, nata dopo la prima fase della guerra durata fino al 1991, preme oggi per avere maggiori responsabilità e dare il cambio a una classe dirigente invecchiata. Il XVI Congresso del Polisario, tenuto nel gennaio di quest’anno, ha dato vita ad un vero dibattito, ma sicuramente i risultati non sono stati all’altezza delle speranze dei giovani. Nei territori occupati, malgrado la repressione marocchina continui, la nuova generazione è impegnata nel continuare la resistenza nonviolenta. Lo fa con i nuovi strumenti dei social, per rompere l’isolamento mediatico in cui la questione sahrawi continua ad essere tenuta nascosta.

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