Giuseppe Giulietti: “L’informazione sull’Ucraina? Prove tecniche di cancellazione del pensiero critico” - di Frida Nacinovich

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Storico presidente della Federazione nazionale della stampa italiana che ha guidato per sette anni, parlamentare in cinque legislature, da sempre impegnato in difesa di una comunicazione libera e trasparente, Giuseppe Giulietti è un punto di riferimento per chiunque si occupi o faccia informazione. In Articolo 21, associazione che riunisce giuristi, scrittori, registi e giornalisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero, oggi è coordinatore dei presidi regionali e territoriali. Forse nessuno meglio di lui, che ha lavorato una vita nel servizio radiotelevisivo pubblico, può fotografare lo stato delle cose in un momento particolarmente complesso come quello che stiamo vivendo.

 

Da più di un anno c’è una guerra nel cuore dellEuropa, con il consueto portato di migliaia di morti, enormi sofferenze per le popolazioni coinvolte e immani devastazioni, e pare che la quasi totalità dei media abbia indossato lelmetto.

Faccio una premessa: chi parla, per ragioni politiche, è un antiputiniano viscerale. Ritengo Putin parte integrante dellasse della destra sovranista, quella di Bolsonaro, Trump, Orban. Non è un caso che il presidente russo sia nel cuore dei dirigenti della destra italiana, che è arrivata al punto di esprimere un filoputiniano di provata fede come Marcello Foa alla presidenza della Rai. Questa premessa è importante, ci tengo. Conosco i bavagli di Putin, i giornalisti assassinati, sono andato a fondare i giardini Anna Politkovskaja nellindifferenza quasi generale, con piccoli gruppi di giornalisti. Tutta la classe dirigente italiana, quasi tutta, “viveva nel letto di Putin” e faceva affari con lui. Sottolineata la mia assoluta presa di distanza, trovo intollerabile lottundimento del pensiero critico che si registra in questa stagione. Un ottundimento che si è spinto al punto da far pubblicare liste di filoputiniani, è bastato aver manifestato timide critiche sulla conduzione del conflitto per entrare a farne parte. Le liste dei falsi filoputiniani sono rigorosamente complete. Mentre le liste dei filoputiniani veri di questo paese invece non ci sono. Segnalo che fra breve ci sarà il nuovo direttore generale della Rai, anche lui filoputiniano di ferro. Si viene bollati come filoputiniani, questo è il punto, ed è grave e anche pericoloso. Pericoloso perché cancella il pensiero critico. Eppure vengono bollati come filoputiniani tutti coloro che, a partire dal Papa, osano semplicemente dire “ma oltre la guerra, esiste la strada della diplomazia, della trattativa, si può vedere se alla fine del buio c’è una luce?”. Questo è pericolosissimo, c’è un fastidio crescente e dilagante per il pensiero critico. Si inserisce nella lista dei filoputiniani perfino chi come me si permette solo di dire “ci fate sapere chi ha ucciso Andrea Rocchelli in Ucraina nel 2014?”. Questo è pericoloso, è una deriva che una volta imboccata avrà degli effetti, a prescindere dalla conclusione del conflitto.

 

La parola “pace” sembra essere stata bandita dal dibattito pubblico.

Puoi condividere o non condividere le ragioni della pace, di chi manifesta per la pace - dalla Perugia Assisi ad Europe for peace, dalla Rete per la pace alla staffetta di Santoro - ma lidea che tu possa bollare come filoputiniani tutti coloro che semplicemente pronunciano la parola pace è pericolosissima. Mi permetto di dirlo anche ad alcuni miei amici. Finisce per allargare la distanza fra rappresentanti e rappresentati. Non puoi bollare milioni di persone, attribuendo loro unetichetta che in gran parte dei casi è infondata. È labrogazione del pensiero critico, che avrà delle conseguenze devastanti non solo in rapporto alla guerra, ma anche in rapporto al conflitto sociale che inevitabilmente si manifesterà in Italia. E che si tenterà di criminalizzare.

 

La pace è un sentire comune, almeno guardando ai periodici sondaggi che vengono fatti dai media.

Nei no alla guerra c’è sicuramente anche il mio. Dentro queste due parole confluiscono sentimenti anche molto diversi. C’è chi razionalmente è contro questo conflitto, chi invece è un pacifista integrale, o ancora chi lo è per ragioni religiose. E ancora chi, da destra, come molti leghisti, è contro la guerra ma per ragioni opposte a quelle del popolo della pace. Cioè un iper-nazionalismo fondato sullo slogan “ciascuno è padrone a casa sua”, i teorici dei confini. Ma se ci fosse anche una sola voce contraria alla guerra, dovrebbe avere diritto di parola. Perché gli neghi la parola? Faccio un esempio, sono oltre 27 le università che hanno aderito alla Perugia-Assisi con i loro rettori, dentro queste università ci sono fior di studiosi della diplomazia, della politica, dei rapporti internazionali, dellEuropa, del riamo e del disarmo. Io non li ho mai sentiti parlare, non vengono invitati a nessuna iniziativa. La rappresentazione tende a essere macchiettista, si rappresenta solo chi dice “guerra, guerra, guerra, guerra senza fine”. Per fare il contraddittorio si scelgono macchiette, la stessa tecnica che si usava un tempo: chiamano quello che fra virgolette è il più trinariciuto, non necessariamente preparato, che deve diventare quello che dice “viva Putin, viva Putin, viva Putin”. È un menù preconfezionato. Perfino i generali che si interrogano sulle prospettive del conflitto sono spariti dalla discussione. Ma le critiche alla guerra avanzano, dalla chiesa cattolica, dalle altre chiese, dagli studiosi di geopolitica, dai militari, dagli esperti di strategia militare. Dovere dellinformazione sarebbe far conoscere tutti i punti di vista, quello di chi dice che quellinvasione è pericolosa per il mondo e va stroncata costi quel che costi, ma anche quello di chi, politicamente non sospetto di estremismo anche se lestremismo può e deve essere rappresentato, chiede di dare spazio alla diplomazia. Si tratta di generali, ambasciatori, diplomatici. Allimprovviso Sergio Romano diventa una persona da rimuovere, eppure mi hanno spiegato per cinquantanni che Romano era una divinità in materia di politica estera, e sì che non la penso come lui. Mi spavento se Lucio Caracciolo può diventare una persona da espellere dal dibattito, e lambasciatore Romano allimprovviso viene trattato alla stregua di un “no global”. Questo fa paura.

 

Il dovere di informare e il diritto di essere informati sono scritti nella nostra Costituzione.

Siamo di fronte a una palese espulsione dal dibattito non della sinistra, che è altra questione, ma di qualsiasi figura che esprima un pensiero critico. Questa è una novità rispetto al passato. Non si viene espulsi in quanto “comunisti”, chiamali come ti pare, ma perché rappresentiamo un punto di vista critico sul conflitto. Questo non è pericoloso solo rispetto allUcraina, è pericoloso in generale. Diventa scomodo Romano che dice “ho dei dubbi”, scomodo il generale americano che osserva come immaginare una fine militare del conflitto sia molto difficile. Diventa inopportuno chi chiede di sapere cosa ha messo in campo la Cina per dar voce alla diplomazia. Per non parlare del Papa, finito nel mirino del sovranismo internazionale, dellasse Trump Putin Bolsonaro, e che diventa una figura indigesta non appena fa il suo mestiere. Fra laltro anche ai tempi della Prima guerra mondiale il Papa di allora parlò di orrendo massacro”. Forse qualcuno vorrebbe tornare allo schema delle chiese nazionali che benedicono i gagliardetti. E questo pontefice che esprime una posizione universalista diventa un nemico. Che vuole questo, dove ficca il naso?

 

Michele Santoro, che ha dato vita domenica scorsa a una staffetta dellumanità per ribadire le ragioni della pace, ha denunciato senza mezzi termini lesistenza di un sistema informativo a senso unico.

Trovo pericolosa questa inversione di senso per cui chi usa la parola guerra è un santo, e chi usa la parola pace è un bastardo. Pericolosa per il pensiero critico, e non solo in relazione alla guerra. Questa è unottima premessa per un paese che si avvia a un presidenzialismo a reti unificate. Un paese che tenterà, attraverso il controllo della comunicazione, la rimozione del conflitto sociale. Temo che molti non lo abbiano capito ma questo è il punto. Con Articolo 21 stiamo provando a dire che una repubblica presidenziale a reti unificate, con informazione e giustizia ferite, è la realizzazione del modello Orban. A causa del conflitto di interessi il pluralismo editoriale è stato a suo tempo espulso dallarco del centrosinistra, e in parte anche dalle organizzazioni professionali. In questi giorni c’è una campagna in atto contro i ragazzi delle tende, gli universitari fuorisede che non possono permettersi di affittare anche solo una stanza a causa dei prezzi folli. Una campagna che, anche in questo caso, tende a invertire il comune sentire, così il povero è un bastardo e il ricco un santo. E quelli stanno nella tenda perché non hanno voglia di lavorare, fancazzisti e farabutti. Si tratta di una operazione politico-mediatica permanente di inversione dei ruoli. E c’è uno scarto molto grande fra quello che denunciamo e le modalità di reazione. Di fronte al rischio generalizzato di cancellare di fatto la Costituzione, e il tema della pace è un valore fondante della Carta, sono sempre più necessari momenti e azioni nei quali far valere il nostro minimo comun denominatore.

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