Gli studenti universitari sono figli di un dio minore? - di Carlo De Santis

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Il disagio del mondo studentesco universitario per la carenza dei posti letto nelle residenze pubbliche e per i costi proibitivi degli alloggi privati, che oggi si manifesta anche in Puglia con l’inedito fiorire di tende intorno agli atenei, viene da lontano, in quanto il disinvestimento nel diritto allo studio universitario ha riguardato tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi decenni.

Un osservatore acuto come Gianni Trovati, in un articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore nel novembre 2015, dal titolo: “Al Sud atenei più vuoti, borse di studio senza fondi”, scriveva: “[Nella legge di stabilità 2016] … A inquietare chi si occupa di università è infatti un fenomeno che negli ultimi anni si è gonfiato, il rachitismo del diritto allo studio all’italiana…”.

Fotografava una situazione che negli anni successivi è rimasta immutata. Basta ricordare che, alla sostanziale parità del numero di studenti universitari, attualmente i posti letto delle residenze universitarie sono 175mila in Francia, 195mila in Germania e appena 62mila in Italia, e che il finanziamento pubblico per borse di studio è di 1,4 miliardi in Francia e di 1,6 miliardi in Germania, mentre in Italia non arriva a 500 milioni.

Qui da noi l’attuale disponibilità di alloggi per studenti copre meno dell’8% dei fuorisede. Per completare il quadro, mentre attualmente uno studente universitario italiano paga mediamente intorno a 1.200 euro di tasse all’anno, in Francia ne paga 240, mentre in Germania non ne paga affatto. Tutto questo in un Paese come l’Italia, in cui la percentuale di giovani laureati è la più bassa dell’Unione europea.

Il governo attuale sta alimentando grandi speranze per la misura del Pnrr destinata a nuovi alloggi per universitari. Occorre sapere, però, che essa si basa su una scelta negativa. Infatti, il fondo per l’“housing universitario” prevede 660 milioni per la creazione di circa 50mila nuovi posti letto, ma le risorse sono destinate ad operatori privati, con l’impegno, da parte dello Stato, a coprire soltanto per i primi tre anni i costi di gestione dei posti letto. Così, in assenza di coperture per il futuro, nulla garantisce che dal 2026 le tariffe non aumentino in modo incontrollato.

Venendo alla situazione pugliese, negli anni 2012-16, durante i quali ho ricoperto l’incarico di presidente dell’Adisu Puglia, i posti letto disponibili sono passati da 1.444 nel 2012 a 1.848 nel 2016, appunto in appena quattro anni. Ma è bene ricordare anche qualche nota dolente. La prima: nel 2015 avviammo la procedura per ristrutturare l’ex Istituto Tecnico Nautico in via Abate Gimma, a Bari, con la conseguente messa a disposizione di ulteriori 80 posti letto. Questi posti letto ad oggi, a distanza di otto anni, non sono ancora disponibili. La seconda: l’Istituto Autonomo Case Popolari aveva messo a disposizione uno stabile allora a rustico, nel quartiere Mungivacca, sempre a Bari, che prevedeva ulteriori 100 posti letto, che avrebbero non solo aumentato gli alloggi pubblici offerti agli studenti, ma avrebbero contribuito a rilanciare quel quartiere periferico.

Attualmente quello stabile è ancora a rustico. Lo dico per sottolineare che la situazione dei posti letto realmente in uso a Bari è oggi, a distanza di sette anni, la stessa del 2016, quando – dal presidente della Regione subentrante, per le note regole dello spoil system - fui sostituito alla presidenza dell’Adisu, provvedimento che costò, non tanto a me quanto alla Puglia la decadenza dalla presidenza nazionale dell’Andisu (Associazione nazionale delle Agenzie per il Diritto allo Studio) che era stata conquistata per la stima e l’attenzione di cui allora godevamo, e per i risultati conseguiti sul campo. Senza contare che quella presidenza ci consentiva col Miur un confronto costante e diretto, che sarebbe stato certamente foriero di ulteriori risultati positivi.

 

Per concludere, hanno ragione, meritano solidarietà e vanno incoraggiate le organizzazioni studentesche che, anche a Bari, stanno piantando le tende. Sia perché denunciano il caro affitti in generale, che riguarda non solo loro ma anche tutte quelle famiglie che fanno fatica ad arrivare con i salari di oggi alla fine del mese, sia perché non vedono aumentare le opportunità da parte dello Stato e della Regione. Il diritto allo studio, infatti, è materia concorrente fra queste due istituzioni, ma finora è successo che le autorità preposte sono state in tutt’altre faccende affaccendate.

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