Per una Cgil soggetto sociale e politico autonomo. Con passione e senso critico - di Andrea Raschia

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

Non basta mai sottolineare né riflettere intorno alla grandezza della Cgil. Ne siamo orgogliosamente parte, protagonisti di una prestigiosa storia che consegna oggi l’arduo compito di rinnovarla preservandola. Tanto più in una fase di profondi cambiamenti dal segno dichiaratamente classista: meno certezze per i più deboli, maggiori difficoltà per il mondo del lavoro. Si acuiscono diseguaglianze, povertà e disagio sociale. Mentre prosegue l’iniziativa confederale.

Il punto vero riguarda uno scontro di sistema. Per sostenere il quale ci si deve misurare con limiti oggettivi e ostacoli che la nostra azione oggettivamente registra. Non è sufficiente reclamare un diverso modello di sviluppo: un miraggio, se non si costruiscono giorno per giorno adeguate condizioni affinché il movimento sia in grado di rivendicarlo attraverso mobilitazione e lotte crescenti.

Un modello più sostenibile è necessario. Per l’ambiente, le persone, la dignità del lavoro, il rispetto dei Beni comuni, la coesione del paese, messi a dura prova da crisi, emergenze di ogni genere, climatica, sanitaria, esplosione di conflitti e guerra. Dobbiamo sentire il peso delle responsabilità: consapevoli di contribuire ciascuno per la propria parte. Possiamo farlo con una guida sicura, collettiva, in grado di aprirsi al nuovo, garantendo partecipazione e confronto, sapendo unire coltivando il pluralismo delle idee.

Non è una novità: molti di noi non perdono occasione per richiamare il tema. E Sinistra Sindacale rappresenta una sede di critico confronto, indispensabile per esser utile. Per fare passi avanti. Insomma, serve impegno quotidiano che non ammette distrazioni. Cambiare nel profondo i meccanismi economici, per un’idea diversa di società verso la quale muoverci, è prospettiva straordinaria. Vera impresa per la quale organizzare e mettere in campo forze importanti e decisive.

Noi – Cgil - ci siamo? Non si tratta di domanda retorica. Siamo pronti e attrezzati per obiettivi così ambiziosi? Per rispondere dobbiamo essere sinceri e leali con noi stessi, anche riflettendo su esperienze concrete e dirette. La mia racconta pezzi di un territorio come il capoluogo delle Marche. Se riavvolgo il nastro ascolto relazioni svolte egregiamente, parlar di tutto. Al solito rimane in ombra la nostra condizione. Da anni ormai puntualmente accantonata, salvo poi porre il tema del proselitismo, come se fosse variabile indipendente da tutto il resto.

Con un gruppo dirigente più propenso ad un ruolo “minore” per l’organizzazione che non deve occupare spazi “impropri”: dunque, lontano dal rivendicare il nostro essere soggetto politico di trasformazione. Sempre. In ogni situazione. Alcune delle quali rappresentano una sorta di cartina di tornasole di una coerenza a corrente alternata. “Il lavoro in Italia si è impoverito”, dato di fatto. E giustificazione che più volte echeggia tra le nostre fila. C’è da crederci e soprattutto da chiedersi se, in questo inesorabile declino, portiamo qualche responsabilità.

Guardiamo la luna, non il dito! Serve un’analisi spietata sulla nostra reale e generale condizione, se vogliamo ridurre lo scarto tra quanto diciamo e quanto facciamo. Consapevoli che è anche dallo stato di questa nostra condizione che dipende in larga misura l’esito dell’uscita dalla crisi generale e tremenda.

Ho fatto cenno ad esperienze direttamente vissute. Entusiasmanti - le mie - con innumerevoli relazioni stabilite nei posti di lavoro, ragione di infinita gratitudine verso la Cgil. Viceversa assai faticose, stressanti, perfino astruse se riferite alla gestione di rapporti interni. Consumando energie -come capitato nel tratto finale del mio personale percorso sindacale, peraltro condiviso con persone straordinarie - per misurarsi con segretari (tra Camera del Lavoro e categoria) non di rado preoccupati e timorosi di recar disturbo al manovratore di turno. A dimostrazione di discutibile senso di autonomia, ritardo nel recidere legami troppo stretti con la politica. “Sei troppo preso!”. Risento ancora l’accusa risuonare nella mente.

Confesso di ritrovarmi a mio agio tra quanti vivono le problematiche di lavoratrici e lavoratori in modo intenso, pieno e coinvolgente. Non è un difetto, ma cifra della passione: viene da lontano, trasmessa dalla pratica quotidiana di compagne e compagni che, con spirito anticonformista, spiccato profilo di autonomia e rigore, con impegno instancabile, disinteressato e coraggioso, hanno fatto vivere e diventar grande la nostra organizzazione.

 

Non so dire cosa riserverà il tempo che attraversiamo. Di certo, quelle qualità costituiscono punti di riferimento intangibili e luminosi per un gruppo dirigente che non deve avere preoccupazione di sé, né del proprio destino. Se non l’esclusivo interesse di quanti rappresentiamo.

©2024 Sinistra Sindacale Cgil. Tutti i diritti riservati. Realizzazione: mirko bozzato

Search